30 agosto 2006

telemetro


le pagine sono spesse, la carta è fotografica di qualità.
piccole foto incorniciate da un bordo nero, finestrelle sul mondo desaturato.

è un grosso libro, voyages di depardon. in copertina, il fotografo in trasparenza mostra un occhio libero, mentre l'altro è nascosto dal telemetro della sua leica perfetta.

doppia immagine, fuoco sovrapposto.

africa, new york, deserto, cina, venezia.
le voyage amoreux. una giovane donna, prona sul letto ingombro di fogli, guarda con occhio a fessura una vecchia tv accesa.
il bianco e nero è profondo nel tempo. racconta spostamenti, curiosa nelle menti ritratte in posa, calpesta pietre e sabbia.
caldo in gradazione di grigio che si sofferma sulla beirut del 1991. o sul ciglio della strada, nebulizzando l'infinito al di là.
non so perché l'ho preso in mano, questo bel mattone che avevo regalato una volta e che ho ritrovato per me solo dopo molti anni.
è notte, piovono gocce d'autunno come solo d'estate è possibile.
la pioggia chiama le immagini.
ho spento l'auto e il tergicristallo si è fermato a metà.

27 agosto 2006

penna a sfera


cibi nuovi, oppure nominalmente noti, conditi in salsa indigena.
osi e paghi dazio.
la spezia e la consistenza non comune risvegliano un dolore che arriva di notte, improvviso, supino in un letto d'albergo, mentre sei in una qualsiasi città che compare nelle mappe delle riviste di bordo d'aereo.
ti insegue ad intermittenza. ti giri, ti prende l'arsura ma l'esperienza insegna che non puoi bere. sarebbe peggio.
stai in dormiveglia, abbagliato da fioche luci notturne che entrano dalla finestra. è luminosa la stanza d'albergo, nonostante pesanti tendaggi scuri che si chiudono sempre in maniera imperfetta.
senti odore di cipolla, nonché un acre sapore di qualcosa di ineffabile, ma reconditamente noto nella memoria del gusto. una memoria che riesce ad andare molto lontano, più lontano dei suoni e delle immagini. la memoria del gusto e dell'olfatto gode di corsia preferenziale verso il cinemascope delle esperienze vissute.
ecco che arriva un'altra fitta. ti segna con tratto diretto, come quello di una penna a sfera che scivola sulla base del pollice, dalla parte del palmo della mano sinistra che tiene fermo il foglio.
dormi sudato, le coperte sono sempre troppo pensanti, sebbene la stanza sia troppo fredda per restare scoperto. si dimentica il dolore nella parte mediana del corpo. poi torna. sembra che un anestetico si diverta a gironzolare in maniera stocastica attraverso le terminazioni nervose, premendo il pulsante on-off a ritmo di musica dai ritmi poco melodici.
il sonno è rem, scene vissute e film potenziali si proiettano dalla grotta del cranio verso gli occhi chiusi a fessura. la fase profonda arriva finalmente qualche attimo prima della sveglia impietosa.
ti senti come sei ore prima: pieno di sonno e con qualcosa di indefinibile che non va.
pensi che la giornata sarà un disastro.
ciononostante, tutto procede e rimane solo un ricordo.

24 agosto 2006

musica d'africa


locale all'angolo, al riparo dal porto.
suonavano jazz al martedì sera. il proprietario era una leggenda, così possente e presente.
bei tempi, ma... il faut oublier

ora è cambiato, un po' impersonale, ma i muri e le scale sono gli stessi. il primo piano mantiene la vetrata sul mare, sul porto da dove c'è chi va molto lontano. le poltrone sono basse, i tavoli alti.
il bicchiere di birra tou trasmette giallo sul verde.

fuori la festa del petrolio continua, tra tende con musica e navi ormeggiate. credo che ora non si parli d'affari, ma di come stupire con parole le donne. che sono sedute protese in avanti, quasi a mostrarsi interessate davvero.
vi sono uomini brutti, finti e stirati, che trasudano vuoto da ogni parte li si guardi. ma qui nessuno sembra avere orrore del vacuo, il futuro sembra lì a portata di mano.

passi veloci, tra rumori di voci, portano in alto, dove i negozi son chiusi. una strana torre guarda la città in cima ad una salita stracciapolmoni.
un altro bar, semplice e onesto, si trova all'angolo di una piccola via.
si ordina da bere, non c'è altro da fare, ad una ragazza bella davvero. ha qualcosa in più rispetto alle altre... forse lo sguardo... ma sarebbe troppo banale liquidarlo così.
è un quid di franchezza e sorriso bambino, che mantiene anche strisciando la carta di credito.

fuori è fresco. il tavolino di metallo luccica di incandescenza riflessa. è un attimo finire, dopo due parole di facili argomenti.
si lascia la torre, e il bar, e il sorriso bambino. si torna a casa guardandosi attorno.
passa un taxi, guidato da un nero. dai finestrini esce musica d'africa.
suoni secchi e sincopati, che nella loro immediatezza esprimono molto di quel gran mondo d'africa così avulso da qui.
le cose difficili vestono bene in abito semplice.
si perdono molti particolari gustosi, ma si apprezza l'essenza.

23 agosto 2006

lait

travi di legno massiccio, grezzo. mattoni a vista d'occhio, occhi aperti tra veneziane d'argento.
è l'interno della dimora, si cammina scalzi, come creanza norvegese tramanda da epoche vichinghe.
il motivo è sempre quello, ripetuto ogni volta in risposta a richieste di spiegazioni ridondanti: fuori c'è fango, è bagnato, pochi anni durerebbe il legno del pavimento senza marcire.

l'impatto con la città è sempre lo stesso, fin da dentro l'aereo che mi vola fin qui dopo aver oltrepassato rotoloni grigi in salsa olandese.
le prime domande retoriche del vicino di posto, sei qui per l'oil bisness? no. e che ci vieni a fare se il petrolio non è nelle tue corde?
il sorriso è idiota, al pari di quello della biondina di dietro, che si vanta di non bere mai vino. al massimo una coca-lait, mi dice con voce da schiaffi.

l'aria è fresca, ma meno di quello che la latitudine insegna, in taxi si sudano umori di boeing.
l'autista è curdo-iracheno, molto loquace in inglese stentato. i suoi occhi si muovono veloci, mentre mi domanda del lavoro in italia.
gli faccio gli auguri, giunti a destino. la mia mano gli si posa sulla spalla, voglio essere sincero con chi si trova in esistenza randagia.
mi ringrazia in arabo, shukran, e accenna all'inchino con gli occhi bagnati.

il contrasto è evidente con quanto c'è in centro. settimana di tuttoesaurito, la conferenza del petrolio attira gli orsi al lago di miele.
attenzione attenzione, si decide del brent. si fanno gli accordi per scavare di più.
l'oceano si abbassa, con tutti 'sti buchi, con 'ste piattaforme dalle gambe sottili di zanzare sul pelago.
succhiano il sangue, nero di morte, motore del mondo che caotico fuma.

20 agosto 2006

latitudini


i viaggi si sommano, la brezza d'avventura si smorza, si infila tra sicomori stanchi e arriva appena percettibile alla pelle.
le partenze sono sempre troppo calde, l'umidità cresce mentre la valigia viene riempita con precisione geometrica.
è calcolato ogni singolo spazio, ipotenuse tra mutande e camicie vengono coperte da ciabatte e fazzoletti di carta.
che non si sa mai, basta un attimo e il raffreddore è lì, alimentato da deficienze immunitarie di aerei dal condizionamento viziato.

fuori, il maxiesodo si consuma, tra allarmismi di apocalisse che coinvolgono sempre il prossimo, come il male.
qui invece, si compie una settimana di ferie forzata, passata a casa giustapponendo parole e ingurgitando succo d'uva chiara ovvero d'orzo, fermentati.
parossismi di vino e birra, produttorie di calore in progressione indefinita.

in sottofondo marcia una vecchia canzone di serge lama, che si dichiara malato per l'assenza di lei, tanto che il suo letto
"se transforme en quai de gare
quand tu t'en vas"

la musica francese è foriera di pioggia e freddo, di baveri alzati e di bar marroni dal fumo gitano.

domani sera non sarà la francia, ma si dovranno scalare paralleli più arditi.
non ci sarà fumo nei bar, proibito da anni.
idiomi incoprensibili e vocalizzanti usciranno da visi pallidi e amorfi.
popoli semplici e ricchissimi, costanti e sbadati, pescatori per mito e necessità.
gente anche triste, meditabonda, che si fa patologicamente depressa al di sopra di certe latitudini.

cambio disco, mi immergo nelle magnifiche sorti e progressive di odd børretzen, che grida con tuono waitsiano "vi drømte om amerika", abbiamo sognato l'america.
per il momento l'america la tengo lontana, intasata nelle sue tattiche balorde di democrazia da esportazione.
piani elaborati al tavolino unto di un diner lungo l'autostrada da menti obnubilate dal colesterolo.

mi avvicino piuttosto al rogaland, zona di nascita del buon odd, e zona di vita di brave persone con cui è un piacere parlarsi e sorridersi.
uomini e donne che diventano belli ridendo sinceri.

19 agosto 2006

rena, ovvero immagine di un incidente

non si sa il perché, ma certamente il terrore aveva preso il sopravvento.
la serenata era finita, tutto si era spento con un alito di vento. quando la testa ruotava, i suoi occhi vedevano solo buio. pulsava la testa nel cercare di trovare ulteriori informazioni sulla realtà che aveva di fronte. non si poteva capire perché, ma tutto era buio, tutto sembrava la fine del mondo, tutto era enormemente cattivo.

modestamente la sera era assurda, modicamente il giorno era chiaro, astutamente il gatto era scivolato via.
non aveva nessun senso rimanere, capire cose nuove. consapevolezze rimaste a marcire in otri umidi e freddi. il catarro di un’influenza che non se ne vuole andare, il freddo di un inverno che si è saldamente installato nel mondo e pare essere a suo agio. formazioni di nuvole sopra il monte boscoso. Vento che tira rami di alberi, solleva foglie e terra leggera. temporale in arrivo senza pietà. È solo ora di andarsene, non ha più senso rimanere.

con una donna che lo prese sottobraccio, con pietà estrema. l’aveva seguita per anni, sempre negli stessi luoghi, noiosi, stretti e bagnati. fuori dal negozio dove lavorava, tra la cabina del telefono e la cassa continua della banca popolare. non aveva mai capito come funzionasse, una cassa continua.

la sua morte non lo aveva colpito più di tanto. era vecchia, arzilla e invadente. la sua presenza era una costante di newtoniana valenza. costanti di gravità, pesantezza dell’essere. relatività di tutto quanto non è passato e assorbito.

automobili costose finite sotto un autocarro, sfracellate in tutto il loro valore addosso a ferro più duro. vetri esplosi e ritornati rena. sistemi di sicurezza sfiniti dal lavoro.

residui di umanità in un cuore trafitto.

17 agosto 2006

tragicommedia in atto unico

10, downing street, londra
due uomini in bermuda e camicia a fiori sono seduti al tavolo delle riunioni
uno si chiama anthony, ed è il padrone di casa.
il secondo si chiama ian, e guida una squadra di gendarmi. ha lo stesso cognome di anthony, ma non sono fratelli.

ab: aggiornami sulla situazione
ib: la situazione è un casino. non ho altre parole per descriverla
ab: (serio) cerca di essere un po' più professionale, idiota
ib: (risentito) dunque, gli aeroporti non stanno affatto tornando alla normalità, soprattutto dopo quel moccioso che si è infilato in aereo senza biglietto e senza passaporto. i bagagli vengono continuamente perduti, e i passeggeri iniziano a non collaborare più.
ab: (interrompendo) avete qualcosa da presentare alla stampa come prova?
ib: la stiamo costruendo, ci vuole tempo
ab: ricorda che tu e i tuoi amici dell'em ai faiv eravate assolutamente convinti che le prove si sarebbero costruite "dinamicamente"
ib: già, ricordo l'avverbio
ab: appunto. "facciamo scoppiare il casino, poi nessuno ci romperà le palle se iniziamo a mettere a soqquadro tutte le case di tutti gli arabi della periferia. vuoi che nessuno di loro abbia un po' di esplosivo in cantina? basterebbe solo un petardo"
ib: so benissimo cosa ti avevo detto
ab: e allora?!
ib: allora niente. non abbiamo trovato niente
(squilla il telefono. ab ascolta lungamente e riattacca)
ab: le cose si complicano. un giornalista del guardian sta indagando sugli arresti in pakistan.
ib: quelli costruiti a tavolino dall'em ai six?
ab: già. ha contattato la tv pakistana per farsi dare le immagini degli arresti
ib: e loro cosa hanno risposto?
ab: gli hanno detto che non hanno ripreso gli arresti con la telecamera perché il servizio pakistano l'ha impedito
ib: mi pare plausibile
ab: plausibile un corno! quando mai un arresto di un terrorista da quelle parti non è stato trasmesso!?
ib: in effetti...
ab: ho qui una lettera del direttore degli aeroporti di londra. dice che la situazione è al collasso, le compagnie aeree iniziano a chiedere danni. ascolta ian, o mi tiri fuori 20 persone da arrestare con prove inconfutabili, oppure sarò costretto a dichiarare che è stato un falso allarme
ib: lo farò. però devi ammettere che intanto in libano le cose sono andate come volevate
ab: (sbotta) non ficcare il naso sulla politica estera, adesso!
ib: scusa tony. parliamo di cose serie ora
ab: già. pensi che le signore siano pronte?
(arrivano voci femminili dal corridoio. le mogli di ian e anthony fanno il loro ingresso nella stanza. la moglie di anthony, cherie, è vestita di seta leggera. la moglie di ian è in costume da bagno)
cb: siete pronti, ragazzi? siamo stufe di aspettare. tony, l'aereo ci aspetta per andare a tahiti
ab: hai ragione tesoro, stavamo discutendo di cose di poco conto e abbiamo perso la cognizione del tempo. forza ian, oltre ai bagagli, non dimenticare palette e secchielli.
ib: come faccio a dimenticarmi! abbiamo la nostra gara sulla spiaggia che ci attende!
(la moglie di ian guarda cherie con aria interrogativa)
cb: come, cara, non lo sai? i nostri due uomini si sfidano a duello sulla spiaggia. vince chi costruisce il castello di sabbia più grande e complesso. menzione d'onore, e doppia razione di gelato al mango, l'avrà chi riuscirà a renderlo resistente all'alta marea
(tutti ridono ed escono di scena. si sente il rumore di un auto che si avvia e di sirene a seguito)

sipario

16 agosto 2006

carbonio


due birre per cortesia.
il vecchio ascolta con aria assente, si gira lentissimamente e solleva due bicchieri in cui persino l'aquavit norvegese sarebbe stretta.
no, magari, se li avesse un po' più grandi, forse sarebbe meglio.
ci guarda, fa un impercettibile segno, ruota piano il busto e prende due bicchieri normali, da zeroquattro.
mentre fa scendere la birra tenendo inclinato il bicchiere, ragioniamo sull'età. indefinibile. solo l'utilizzo smodato del carbonio14 potrebbe essere d'aiuto. la moglie, se possibile, sembra addirittura più rimbambita.
questi due vecchietti, penso, procedono a braccetto verso l'irreversibile deriva...

attorno l'atmosfera è falso-tirolese triste. legno alle pareti, bancone di acciaio inossidabile, scatola delle brioche-luisone vuota. dietro, mezza dozzina di bottiglie di liquore siedono su mensole impolverate.
in fondo, attaccato alla parete, un calendario, raffigurante una puella nuda che invita all'utilizzo lussurioso delle sue pudenda, stona notevolmente con la sostanziale atmosfera necrotica del locale.
fuori, nuvole gonfie vanno a zonzo osservando prealpi e vallate generate da glaciazioni in ritiro spirituale.

dall'altra parte della strada, il chiostro medioevale. in una delle celle, un vecchio monaco sorseggia caffè lungo.

brandelli di umanità dissociati in aroma di giava.

14 agosto 2006

tonnellate

un aereo rientra a londra dopo che in cabina si è udito lo squillo di un cellulare.
impossibile. i cellulari perdono il segnale quasi subito in volo, basta qualche centinaio di metri.
infatti, l'aereo era in fase di decollo.
ma di chi era quel cellulare?
non si sa, nessun passeggero ha detto nulla. proprio l'assenza di un proprietario ha fatto optare per il rientro immediato.
hanno scaricato il carburante, immagino.
certo, l'aereo era a pieno carico per un volo oltreoceano. non può atterrare con lo stesso peso del decollo.
quindi almeno 100 tonnellate di cherosene sono finite nebulizzate per aria.
diciamo di sì, più o meno.

regge il cessate il fuoco in libano.
guerra di comunicati: abbiamo vinto noi.


L’immaginazione è tutto.
Il canto che viene da dentro, quel sottile senso di mal di gola costante, la sensazione che tutto si stia muovendo lasciandoci indietro.
Oltre questi confini.

Oltre questo territorio vergine, che non si riflette in alcun luogo già visto nella mente del viaggiatore attento.

scipione: c'è sempre un momento di felicità nella vita, per tutti. è questo che ci dà modo di continuare. è a questo che ci si afferra quando ci si sente svuotati.
caligola: è vero, ragazzo mio.
scipione: e non c'è niente di simile nella tua vita? un moto di pianto, una fuga nel silenzio?
caligola: sì, nonostante tutto.
scipione: che cosa?
caligola: (scandendo) il disprezzo.

12 agosto 2006

pressione di chiusura

tonino
professione: alcolizzato
disoccupato dal 1955 con esperienza, fortunatamente senza titolo di studio

il biglietto da visita del ristoratore calabro-veneziano l'ho trovato sul tavolo, al rientro dal lavaggio mani.
accento improbabile, occhio sfuggente, definizioni distorte.

orata e seppie con la pasta, prosecco fermo, intiepidito dal sole latitante da giorni.
barche e persone scorrono sopra il canal grande, in prospettiva frontale.

il vino scalda, specie se ricorrente. sembra un algoritmo da calcolatori: se bicchiere uguale vuoto, allora riempi.
il caso base, che provoca il termine del ciclo ricorsivo, è più gastrico che logico-digitale.

le calli si sommano, i campi moltiplicano e prolificano scorci indelebili. si cammina veloci, con mete confuse.
la libreria non può mancare, quella toletta che fa venir voglia di leggere. lì vicino il campo san barnaba, spazio aperto e sornione, che mette a tuo agio.

le nubi si addensano, è incredibile il tempismo. ormai siamo in calle dell'oca, dal marco promesso sposo.
un arancino di riso e pesce male non fa, soprattutto quando serve far fondo all'etile. miscuglio di alcool sotto rotoloni di grigio.

la stazione è ocra, come tutte le stazioni di sera. i binari più remoti, quelli per i treni poco avventurosi, formano un unico colore col cielo.
c'è solo il mio treno, moderno in attesa. indugio sulla porta, che sbuffa pressioni di chiusura. il macchinista mi fa cenno di entrare.
è ora di sedersi e specchiarsi.

i've seen it all through the yellow window of the evening train

11 agosto 2006

overture

serie di caselli dell'autostrada, undici di sera.
lunga fila al pagamento manuale, nessuno al pagamento automatico.
scelgo la seconda opzione.
noto una simca horizon color buio con un fanale rotto porsi tra me e il mio obiettivo.
i dubbi mi assalgono quando mi accorgo che alla guida c'è un cappello con un vecchietto sotto, provvisto di moglie a latere.
il finestrino si abbassa, lui osserva il pannello touch-screen e si guarda attorno.
si gira verso la consorte, per chiedere consiglio.
io ho gli avambracci appoggiati al volante, il capo chino, rassegnato.
passano i minuti, incomincia l'overture di clacson.
l'omino tira fuori il biglietto e lo impone sul monitor, strofinandolo.
preme pulsanti, bestemmia, zittisce la moglie che gli urla all'orecchio.
ogni secondo diventa lunghissimo. dietro di me le auto hanno già iniziato a fare retromarcia.
la combustione della simca non deve essere perfetta, c'è più odore di bruciato che di benzina.
il pulsantone della chiamata d'emergenza viene sfiorato, forse per disperazione.
arriva la società-autostrade-anas-aiscat-con-la-collaborazione-dell'aci, sotto forma di un giovane annoiato.
prende il biglietto ancora sporgente dal finestrino, lo inserisce.
esce la bocca meccanica per le monete. 90 centesimi il totale. euro, dieci di resto, si apre la sbarra, la simca sfumazza via.

questo è accaduto qualche settimana fa, di ritorno dall'aeroporto dopo un volo da non so dove.
aeroporto in cui sono giunto senza essere perquisito.
avevo solo bagaglio a mano, contentente, tra l'altro, acqua, schiuma da barba, pc, cellulare, rasoio, dentifricio.

tutte cose che oggi non potrei portare.

intanto il libano è sparito dalla prima pagina del corriere, maggiore quotidiano italiano.

10 agosto 2006

fede

il concetto di minaccia, applicato ai media, è alquanto curioso.
il tempismo con cui le minacce appaiono è sicuramente scientifico.

senza fare troppa filosofia, credo esistano minacce reali e altre a cui ci viene imposto di credere.

esempio del primo tipo: missili che ti piovono in testa e che dilaniano tutto quanto sta a qualche decina di metri dal punto di impatto.

di converso, la minaccia che per essere tale presuppone fede è l'arresto (non visto) dei terroristi (definiti tali da qualche sedicente esperto di singapore) che "stavano per compiere" un attentato.

intanto piovono volantini su beirut: libanesi andate via.

09 agosto 2006

archimede

muoversi galleggiando attraverso palafitte artistiche, spinti da archimede.
il motore sciaborda e l'acqua scoppietta, confidente e sicura.
il capitano assomiglia più ai marinai perduti di izzo, che al testardo achab. occhiale scuro, clark kent. ismaele dell'arsenale.
ponti che sfiorano teste, volte abbassate da maree in erezione.
il convivio è storia veloce, fatta di forchette che attaccano e rilasciano.
gocce di pioggia, acqua si mescola ad acqua con chimica isotopia.
lampi silenziosi e rumore muto illustrano atenei scoperti di nuovo.
il sipario si chiude, tende di nuvole, velluto di aria.

08 agosto 2006

insomnia

agitata è la notte e senza riposo.
pensieri che si susseguono, si sormontano, si violentano, si confodono. e non concludono.

intere giornate passate a camminare senza motivo da un angolo all'altro della città sporca e cattiva.
spostamenti veloci in auto, immagini e cose che si stampano nella mente e vengono salvati per uso futuro.

tutto ritorna, nella notte senza sonno.
tutto appare, davanti agli occhi aperti nel buio.

anche le voci si fanno sentire. voci associate alle immagini, voci stridule e calde, insignificanti e secche.
mezze parole accompagnate da sorrisi di cortesia forzata.
sussurri d'intesa di innamorati perdenti di fronte ad una tazza di caffè finita.
accenti locali, lunghi e cantilenanti.
toni di altre città, di altre regioni, accompagnati dal loro carico di significati, conditi da tradizioni di anni passati.

tutto ha un senso, se preso singolarmente.
ogni evento è effetto di una causa, la quale, a sua volta, deriva da una scelta presa al posto di un'altra.
è la sìnchisi delle singole storie che fa confondere la mente dell'insonne curioso. non si capisce perché tutto avvenga senza di lui.
il controllo gli manca, e ne è dispiaciuto.
non poter disporre dell'ordine giusto, al momento desiderato, di storie e di voci, di immagini e di suoni, di colori e di visi, di vetrine e di alberi, di marciapiedi e di nuvole, di vento e di sole.
essere testimone non voluto, detestato, preso in giro, deriso e mai rimpianto.
inutile come un pezzo di legno bagnato, fastidioso come una macchia scura su un maglione bianco, dannoso come un colpo di vento in autunno inoltrato, insignificante come il passaggio di una nuvola in cielo.


è atroce il male alla testa.
un peso esplosivo che preme da dentro. si addensa nei bulbi oculari, facendoli pulsare al ritmo del cuore. ogni movimento è sorgente di un'ineffabile sofferenza. un rumore sordo che grida dall'intimo. un dolore cupo che vive e si alimenta da solo, tumore che assume energia da ogni singola fitta.

è utile il riposo al corpo dell'uomo.
è fondamentale l'oblio del sonno per la mente confusa.

- non esiste finale perfetto - gli disse lei stringendo la pistola
- perché lo dici, tesoro? -
- perché mi pare tutto già visto -
e gli sparò.

07 agosto 2006

sintonia fine della parola

che differenza c'è tra "raid aereo" e "bombardamento"?
come si distinguono le "incursioni" dalle "infiltrazioni terroristiche nel territorio"?
perché da una parte c'è "l'attacco mirato verso presunte postazioni terroristiche" e dall'altra c'è "il lancio di missili katiuscia" tout court?

raid aereo mi suona da top gun, mi vedo i vari maverik e goose israeliani salire sul loro f16 mentre il sole si tuffa sornione nel mar mediterraneo in una bella sera di metà estate. le loro donne li aspettano a casa, bellissime, sinuose, bionde di doccia, fresche di pesca, sicure che i loro prodi stanno lottando contro il male assoluto e che sono latori di bene altrettanto assoluto.

forse non sarà così, ma il messaggio che attraversa le sinapsi afose con l'infradito del fantomatico italiano medio porta inevitabilmente e subconsciamente a propendere per il raid aereo israeliano piuttosto che per il bombardamento.
che parola brutta, bombardamento. suona tanto racconto del nonno, con gli aerei pippo e la fuga sotto il campanile.
raid è più sagace. fa tanto james bond.

sì, certo, sono entrambi colpevoli.
però...
però... forse chi compie "incursioni" è un po' più giustificabile di chi si "infiltra" portando terrore nel territorio. sembra la muffa sul muro.
sai poi che palle, chiamare il muratore e segare via tutto.
e dove metto la credenza con i piatti, poi?

il torto è di chi attacca e di chi risponde in maniera sproporzionata.
siamo tutti d'accordo. democratico. ateniese.
ma se uno attacca in maniera "mirata" verso "presunti" covi nemici (mon dieu, che ossimoro palese), beh, allora non dico che abbia ragione... però... lanciare missili a vanvera, in maniera stocastica, con tecnologia russo-persiana, dove piglio piglio... insomma...

i veri terroristi, che colpiscono senza uccidere nessuno, sono poche persone.
sono coloro che scelgono di utilizzare alcune parole piuttosto di altre.
sono gli artigiani del verbum.
sono i sintonizzatori fini che trasmettono agli amplificatori mediatici definizioni indelebili.

definizioni che, come quei proiettili che penetrano il corpo e poi vi esplodono dentro, sodomizzano l'orecchio distratto per albergarvici, formando opinioni.

distorte.

06 agosto 2006

Inizio

C'è un inizio a tutto...