25 febbraio 2009

muffin

si svegliò presto quella mattina.
la luce entrava di prepotenza attraverso le finestre scorrevoli senza tende.
si sentiva indolenzito. la mente, però, era lucida. gli occhi erano già aperti, senza indugio, senza fessure, senza liquido.
alzò la schiena e si accorse di non aver mai cambiato posizione durante la notte.
era crollato.
si ricordava voci, sorrisi. una cena preparata con cura.
tanta festa.
gli avevano chiesto notizie di casa. si erano informati sui suoi studi.
gli avevano detto che avrebbe dovuto finire presto, che lì ci sarebbe stato un lavoro pronto ad accoglierlo.
era l'epoca della nuova economia.
quella del presidente giovane e brizzolato che suonava il sassofono.
quella della strana @ che aveva iniziato ad imperversare ovunque.
quella della prima bolla della sua vita che non fosse di sapone.

si era sdraiato sulla chaise-longue in giardino. l'aria della notte era fresca.
di fianco a lui, un uomo stava in silenzio sulla sdraio gemella, e sorseggiava un caffè.
'sono contento che tu sia qui' gli aveva detto ad un tratto, dopo essersi schiarito la voce profonda.
'grazie. anche io sono felice'.

avevano iniziato a parlare. di tutto.
l'accento dell'uomo era straniero, sebbene la proprietà di linguaggio fosse ottima.
tanti anni passati a lavorare e a leggere. tanta televisione sorbita fino a tardi. tanti dibattiti.
il mercato, la tecnologia, la rete, il prezzo delle case.
'vedrai che tra un paio d'anni qui nessuno sarà in grado di permettersi un appartamento. it's crazy'.
il crazy veniva pronunciato con la erre dura, crési. e lo avrebbe ripetuto spesso.

poco dopo si era sentito la stanchezza avvolgerlo come un'onda.
si era alzato, si era scusato.
'no, no. va' pure a riposarti. buonanotte', gli aveva detto l'uomo, abbozzando un sorriso e poi guardandosi attorno come un gatto nervoso.
in quel momento si era aperta una porta scorrevole. dalla casa era uscita una donna che si stava asciugando le mani con un canovaccio da cucina.
'stai andando a letto?'
'sì, non credevo di durare così tanto. il volo è stato lungo'
'non vuoi del dolce? ne è avanzata una fetta?'
'noooo, grazie', le aveva risposto massaggiandosi lo stomaco. 'direi che per stasera ho mangiato abbastanza'.
'sì? non mi pareva tu avessi mangiato tanto... hai assaggiato il kùbbe? e il wara'ddawali?...'
non trovando risposta, se l'era avvicinato a sè. un bacio sulla guancia e uno sulla fronte avevano il significato della sua 'buonanotte' commossa.

mise i piedi per terra e trovò la moquette dal pelo lungo. non era abituato a quella sensazione.
si guardò allo specchio. sulla nuca i capelli erano per aria.
aprì la porta e andò in cucina, senza preoccuparsi del pettine.

'ooohhh buongiorno!' fu l'accoglienza.
buongiorno. voce dall'oltretomba. si schiarì la voce.
'dormito bene?'
'decisamente' rispose, mentre lei gli si avvicinava con le braccia aperte. un altro bacio sulla fronte.
'caffè?'
'sì, ma non il vostro', rispose sorridendo.
'cosa stai dicendo?' l'uomo si stava già innervosendo. ma quell'uomo si innervosiva sempre. in genere per cose banali.

sparì in stanza e ritornò in cucina con una moka da uno.
nell'altra mano teneva un pacco di caffè.
'senza offesa, ma a me serve questo per svegliarmi!'
'i don't understand these people' fu il commento dell'uomo. come dire: razza inferiore.
il fatto che lui non capisse le altre persone sarebbe stato come il crési. ripetuto spesso. era un mantra.
si misero a ridere. stavano benissimo.

mentre la moka brontolava, l'uomo gli spiegò che il caffè era come l'oro. veniva quotato. ogni giorno cambiava prezzo.
lei gli disse di lasciarlo stare. di non tediarlo con queste storie. gli offrì un muffin al mirtillo e uno al cioccolato.
l'uomo si arrabbiò con la donna. le disse di stare zitta, e aggiunse che queste cose erano importanti da sapere.
lei gli rispose 'oché oché'. per non dar ragione a chi a torto, il metodo migliore è dargli ragione guardando altrove.

uscì dalla porta e si accomodò sulla sdraio in giardino come la sera prima.
l'uomo lo seguì, con due tazze fumanti in mano.
'ti ho preparato un caffè come il mio. lungo ma gustoso. è la migliore qualità. voglio che lo assaggi'.
così fece.
i due ripresero a parlare, stessi argomenti nella medesima posizione della sera precedente.
poco dopo arrivò anche la donna. gli si sedette vicino e rimase in silenzio a guardarlo.
'come stanno a casa?', gli chiese ad un tratto, sebbene fosse la quarta volta che ripeteva la stessa domanda da quando era arrivato.
'stanno bene. veramente'
'cosa vuoi fare stamattina?'
'non saprei. voglio rilassarmi'.
'ti serve l'auto? vuoi andare in libreria? ti piacciono i libri, vero? hanno aperto una libreria nuova in centro. c'è un caffè, ci sono le poltrone di pelle. puoi prendere i libri dagli scaffali e sederti a leggerli, senza comprarli'.
buona idea, ragionò.
chiese di farsi una doccia.
lei lo seguì in casa, andò in stanza da letto e tirò fuori due asciugamani da un cassetto.
lui li aprì per verificarne le dimensioni. c'erano grandi fiori disegnati. rose, tulipani, azalee...
erano gli stessi soggetti che lei usava nei suoi quadri, che dipingeva sempre più raramente ormai.
lui però si ricordava di quelle tele enormi, piene di colori decisi, quasi infantili. ne aveva almeno tre a casa sua...

rimase a lungo sotto il getto d'acqua. la sera prima non aveva avuto la forza e la voglia di lavarsi via l'odore di jumbo jet.
tornò in cucina vestito di indumenti spiegazzati. vide la donna alle prese con la preparazione del pranzo.
'lavori già?'
'mi prendo avanti. mangeremo verso le quattro, così arrivano anche gli altri. è tardi per te? se vuoi un sandwich o un frutto...'
'no grazie. mangerò qualcosa in libreria, nel caso'
'oché... va' pure in garage, lui è di là che ti prepara l'auto bianca'

infatti il cofano era sollevato e l'uomo aveva il busto che ruotava in avanti e di lato, controllando ogni angolo del motore.
'l'olio è a posto, i livelli perfetti. il filtro è nuovo, l'ho comprato ieri mattina. hai il pieno di benzina. sai guidare col cambio automatico?'
gli rispose di sì, certo. non era vero. l'aveva visto fare, gli era stato spiegato a voce. ma non aveva mai provato.
chiuse il cofano.
'bene bene. allora buon viaggio. ci vediamo dopo'

si sedette, si allacciò la cintura, mise in moto. con delicatezza portò la leva del cambio su 'R' e fece retromarcia.
poi 'D'. era semplice.
era arrivata anche lei sul vialetto e lo guardava partire. gli fece ciao con la mano.

lui li salutò mentre accelerava.
dallo specchietto retrovisore li vide rientrare a casa, abbracciandosi.

alla prima curva si fermò, mise su 'P' e spense il motore.
scese dall'auto e si guardò attorno. case di legno, cielo azzurro, erba perfetta tagliata sui prati, traffico sonnacchioso delle vie residenziali.

in quel preciso istante provò la rara sensazione di non intravvedere ostacoli di fronte.
e si sentì forte.



dedicato ad una persona che ora non c'è più.
ma i tuoi fiori colorati resteranno per sempre appesi alle pareti dei miei ricordi migliori.

12 febbraio 2009

pianola

le nuvole sono bianche e senza spigoli.
la luce è debole ma diffusa.
il treno trotterella sul suo cammino di ferro.
un suonatore ambulante suona una melodia nota ma senza nome.

rallentiamo ad una stazione.
si aprono le porte. si chiudono le porte.
una ragazza alta, mulatta e seria cammina in direzione contraria verso le scale.

escono le basi dall'amplificatore portatile.
le dita dell'uomo saltellano sulla pianola a fiato.
finisce e sorride.
passa col cappello verde a raccogliere spiccioli tra le poltrone.
tintinnano monete, frusciano due banconote solitarie.

leggo un giornale.
scorro le parole ma non le comprendo.
sono solo grafemi di petrolio su carta odorosa.
mi sono incastrato nel parlare tra me e me.
penso a cose che non c'entrano.
faccio entrare cose a cui non penso.

la via lattea si muove nel vuoto a seicento chilometri al secondo.
tra tre milioni di anni si scontrerà con la galassia di andromeda.
mi dico che è una vita che devo pettinarmi.
mi dico anche che troppo spesso mi sento ripetere di "non preoccuparmi, è umano".

ho visto un uomo uscire dal bar della stazione lasciando il resto sul piattino, di fianco alla cassa.
una mancia in nome della cronaca d'arte di un giorno qualunque e per questo speciale.
aveva fatto leggere alla cameriera tatuata l'incipit di un romanzo appena acquistato.
lei si era segnata il titolo. poi era tornata a tagliare fette di limone su un tagliere di plastica bianca.

il treno passa sotto un cavalcavia.
un vecchio in bicicletta è appoggiato alla rete di protezione e guarda il treno passare.
càpita spesso, in genere al tramonto.

sono giunto a destinazione. scatto di fuori.
vedo finestrini ripartire sferragliando.
tira aria. alzo il bavero, cerco l'uscita.

francese, sesso e caffè.
trinomio evocativo.
bel titolo per un romanzo.
manca un corpo, manca una storia.
manca del fumo, manca un bicchiere.
è solo un cappello.
poi sotto ci può stare di tutto.