18 giugno 2007

specchiare


le parole si accostano, capovolgendo i significati, creando malintesi in parole opere e omissioni.
soprattutto omissioni.

prende in mano un blocco di pirite.
pulito, perfetto. sembra un enorme diamante argentato.
tante piccole facce lucide, che però non sono in grado di specchiare la faccia che sta guardando.
a cosa serve avere la faccia lucida se chi ti guarda non riesce a vedersi?

si cerca e non si trova, perché non si sa esattamente cosa cercare.
correre, camminare, fermarsi.
raggiungere. ovvero, indugiare per spossatezza.
si raggiungono obiettivi, senza sapere di averne.
si conquistano premi a fatica, sudando, maledicendo, bestemmiando.

suonano gli archi, volano le frecce, si violentano le percussioni.
ci si ritrova ad un concerto notturno, la luna è scorza di limone impallidito.

minuti prima si era altrove.
stanza ipogea, al riparo, inghiottita da un bastione della città che ignora.
tavolo con lampada, drammaticamente contrastata è la luce incandescente.
c'è una faccia, un viso, uno sguardo.
un'espressione, un cenno, un ghigno.
immobile, nervosa, scattosa.
scorrono frasi, la storia si edifica lentamente, creando consapevolezza, logica, trama.
è un monologo d'attrice, di donna, di madre.
è un grido inascoltato. senza eco.

06 giugno 2007

staffa

quando si mette in posa, lo fa con seria determinazione.
si appoggia al parapetto, sguardo assente verso l'esterno e profilo migliore illuminato dal sole notturno.

cupo, grosso, tossente.
dita agili su chitarra, sguardo rapito dall'angolo del soffitto, voce flebile di aria trasparente su microfono freddo e ruvido.
suona jazz, ma pensa luoghi vicini.
canta jazz, ma pronuncia cose concrete.

le stesse dita, bastoncini di carne tozza e veloce, affondano i tasti del pianoforte, provocando accordi di accompagnamento e scale sincopate.
la chitarra, poggiata al pavimento, lo assiste e lo giudica.

smette di suonare, tra gli applausi conviniti.
beve un lungo sorso di birra, con concentrazione, dedizione, abbandono.
fuori la luce si confonde col sonno.
si alza, lento, chiudendo in parentesi tonda la schiena e le spalle, ingobbito dalle note e dalle scale minori.

saluta di fretta, lascia la chitarra sul piccolo palco improvvisato, ed esce.
tiene un ombrello con sè, nonostante la pioggia sia passata e si sia confusa tra le onde del mare nervoso.
il vestito grigio è lungo di caviglia, le scarpe pestano l'orlo dei pantaloni, ormai consumando trama ed ordito.

qualcuno lo segue, lungo la strada che scende verso il porto.
lui sente e si gira.
lo sguardo è vuoto, e ha la forma di un punto interrogativo.
ascolta i complimenti e le belle parole.
ascolta le sensazioni che ha regalato con la sua musica.
ascolta l'offerta di una birra della staffa.
ascolta domande, richieste, preghiere.

non risponde, ma stringe le labbra, alzando gli zigomi.

definire i bordi del sorriso è come arginare la deriva dei sogni.