30 gennaio 2007

arguto

capita che l'avventura della vita conduca di buon'ora in coda all'accettazione di un poliambulatorio medico, tersillianamente convenzionato con la mutua, ma di efficienza tipicamente nordestina.
monitor sottili di fronte ad occhi assonnati accolgono i dati personali e li divorano a ritmo del clic clac di tastiere senza filo.
stampanti silenziose gettano inchiostro su fogli bianchi, producendo parole, codici a barre e brevi linee orizzontali su cui apporre firme di accettazione (di non si sa bene cosa) per la (non si sa bene di chi) pràivasi.
la mano dura e screpolata dal freddo scribacchia qualche lettera del nome e cognome, una sorta di rebus senza disegno.
'lei è il numero due, si accomodi nella sala d'aspetto numero uno, la verranno a chiamare a breve. grazie di averci scelto'
individuo la sala d'aspetto numero uno, che mi pare anche l'unica, e mi accomodo sulla poltrona di finta pelle.
bianca è la luce al neon, bianche sono le facce assonnate dei miei compagni d'attesa.

alla mia destra un uomo dall'aria professore-di-musica-delle-medie apre un giornale locale e mi permette di leggere i titoli di prima pagina.
'tragedia a colpi di pugnale. lui torna a casa dal lavoro e finisce la moglie a colpi di macete. i vicini: era un uomo tranquillo e sempre gentile'
'morire in giardino. gioca a calcio col nipotino e si rompe il collo eseguendo una rovesciata'
'maga inganna anziani. sedicente fattucchiera si faceva pagare diecimila euro per previsioni sulla salute. denunciata da un ottantenne perché gli aveva garantito successi copulatori, mai avvenuti'

di fronte a me una porta che conduce, stando alla scritta ben visibile, agli ambulatori 20, 21 e 22.
il giovane alla mia sinistra, con lo sguardo ebete da spacciatore di spazzolini da denti e con capelli che non vengono toccati da shampoo da almeno due settimane, non riesce a rimanere fermo. si alza, si siede, cammina avanti e indietro. guarda il suo foglio col numero di prenotazione. guarda la porta, legge con attenzione il cartello e mi domanda: 'scusi, l'ambulatorio ventuno è qui dentro?'

nel frattempo arriva un omino col camice bianco e si mette a chiamare il trentaquattro. il professore di musica non risponde e il ragazzo arguto scuote la testa dopo aver controllato filinianamente il proprio codice per tre volte.
rimane un vecchio, seduto di lato, i cui segni vitali appaiono drammaticamente scadenti. l'omino bianco gli si avvicina, ripetendo trentaquattro. niente. gli tocca la spalla, chiedendogli, all'altezza dell'orecchio, se fosse lui il trentaquattro.
il vecchio si gira lentamente, squadra l'importunatore e con voce ben impostata lo apostrofa: 'le pare che se io fossi il trentaquattro non le avrei già risposto la prima volta? no, non sono il trentaquattro. come si chiama il trentaquattro?'
'ehm, già, in effetti si chiama maria trentin' (alla faccia della pràivasi).
'ecco, appunto' accenna al sorriso e ritorna in anestesia generale.
in quel momento una signora paffuta e cotonata come una pecora neozelandese arriva trafelata gridando: 'so' mi trentin, go el trentaquatro, toca mi, so' arivada prima de jori, jero in bagno, non'l xe justo' [1]
omino bianco le fa segno di andare con lui. sento maria che, seguendolo, non smette di parlare 'insoma, eco, so' qua pa' l'icografia parché me cugnà, che'l xe dotore, a me ga consjjà de farla ma mi no o voèvo miga, e po me marìo a me ga convinto, e insoma xe capità che me fiòeo on cuo el fose de turno al pomerijjo, e cussì a me ga portada qui iu, sennò mi no riesso miga a vegnère qua al matin, no go a patente e non me piase tore el pùllma con tuti sti estracomunitari nigri e sigàni spussoenti....' [2] poi la sua voce e i suoi accenti sud-patavini si confondono e spariscono tra i corridoi.

'numero due, c'è il numero due?' sono io, mi alzo e raggiungo un altro omino bianco appena uscito da una porta col teschio radioattivo su sfondo giallo.
'busoìn?' mi domanda non guardandomi, e riuscendo a dialettizzare il mio nome già veneto e storpiato di suo.
lo seguo. mi sdraio seminudo sul piano freddo e coperto da un lenzuolo di carta, mentre lui armeggia con il macchinario radiogeno, premendo bottoni, azionando leve, ruotando manopole e digitando numeri. afferra la testa mobile del mostro a raggi ics, e la punta verso la mia pancia, prendendo la mira come paul tibbets dall'enola gay.
'dunque, dove deve fare i raggi?'
uhm, ragiono, questo deve essere parente del giovane arguto di prima.
'mi hanno prescritto una radiografia alla schiena. i dettagli tecnici sono riportati sull'impegnativa'
'ah, vedo vedo' fa lui prendendo in mano il rettangolo di carta con le caselle rosse. 'ha mal di schiena, per caso?'
annuisco, disperato.
mi sposta a destra e a sinistra, mi gira i piedi, mi solleva le ginocchia, grida 'non respirareeee' scomparendo temporaneamente dietro un muro protettivo.
dopo qualche minuto torna con le lastre in mano. le infila sulla lavagna luminosa e le osserva.
senza guardarmi mi dice che posso rivestirmi e sparisce per sempre.

uscendo, attraverso di nuovo la sala d'attesa numero uno. il professore di musica non c'è più, e pure il ragazzo agitato sembra abbia finalmente realizzato che l'ambulatorio ventuno si trova dietro la porta che reca scritto "ambulatorio ventuno".
il vecchio catatonico, invece, è sempre lì, pesantemente appoggiato sullo schienale e con la testa a penzoloni.
mi avvicino a lui, mosso da un forte sudore freddo. mi abbasso all'altezza del suo viso e rimango immobile, in attesa di scorgere qualche movimento respiratorio. nulla.
il mio "scusi, signore" mi rimane intrappolato in gola. giro la testa alla ricerca disperata di qualche camice bianco di passaggio. quando torno a guardarlo, trovo due occhi grigi che mi stanno squadrando e una voce baritonale che mi dice:
'desidera me? devo essermi assopito, mi chiamo augusto marchesi, altrimenti detto numero trentasette'

mi scuso con lui ed esco velocemente da quel posto.

sul muro del palazzo di fronte trovo una scritta con lo spray nero: "non mi avrai mai".

28 gennaio 2007

quota



salire sui tetti e vedere altri tetti.
mettere protezioni, sigillare, accostare tegole concave, chiudere e definire il riparo.
guardare in alto e vedere la scia di un aereo in quota, punta di matita bianca che traccia linee parallele su sfondo azzurro.

scivolare, aggrapparsi, saltare con perizia.
attendere la penombra del buio, o la stanchezza. passarsi la bottiglia d'acqua, bere con furore, sentirsi svuotati di emozioni.

scendere, mani in tasca e voci tornite da fumo continuo.
entrare nell'osteria e ordinare vino sgarbato.
è vino per le carte coi bastoni e le spade, per il tabacco trinciato, per la bestemmia a voce alta.

ragionare sul fatto che le giornate si stanno allungando, consapevolezza che mette tranquillità, perché non dipende da fumi cattivi o da consumi smodati del finto progresso.
è un dato di fatto che si ripete ogni anno, un appuntamento che mette speranza, una scoperta posticcia che illude e chiosa discorsi.
'stamattina alle sei era già chiaro'
'eh, sì, e guarda adesso, sono le cinque. un mese fa era buio'

continuare fino all'ora di cena. salutare. salutarsi.
giungere a casa aspettando il domani.
ancora la scala, ancora il tetto da completare, ancora aerei sospesi per aria.

c'è chi, ogni mattina, mescola vino bianco al mangime delle galline.
è un modo per ottenere uova dal tuorlo gemello.

21 gennaio 2007

banconote



neon, bianco.
rumore di fondo.
voci.
annunci.
bip elettronici di conferma.
denaro, monete, resto.

'ha la tessera punti?'
'può dirmi il saldo?'
'è in basso, sotto il totale'

chindercereali, lip, tonno nostromo, pasta de cecco.
marmellata di more, matite 2b, cover nochia.
libro tascabile, gioco pleistescion, patatine.

'c'è la promozione sui biscotti mulinobianco?'
'no, è scaduta ieri'
'ma in cosa consisteva?'
'due scatole a sua scelta per novantanove centesimi'
'ah, peccato'

bip bip bip.

'non vendete più i quotidiani?'
'no, da un bel po''
'e come mai?'
'non lo so, signora'
'era comodo però, uno veniva qui e si prendeva anche il giornale'
'certo'
'ma siete solo voi che non li tenete più, o cosa?'
'non so, noi di sicuro non ce li abbiamo'

sensori, codici a barre.
base di dati, liste lunghissime.

alcuni non vengono riconosciuti, devo digitarli a mano.

'lasci pure le bottiglie sul carrello'

altrove. no, non si può pensare all'altrove.
o forse sì, magari un bella passeggiata in montagna, poi riposo sulla panchina.
cielo terso, aria frizzante.
no, poco frizzante, naturalmente frizzante.
senza anidride carbonica aggiunta.

'bancomat o carta?'

aria viziata, condizionatori affannati.
gli occhi bruciano e lacrimano di continuo.

banconote false. sono sempre gli albanesi che hanno banconote false.
devo chiamare il responsabile. ma 'sti qui li riconosco, l'altra volta non hanno voluto darmi il documento per validare la carta di credito.
mi guardano strafottenti.

'avete altri soldi, questi no buoni'
'no, solo questi'
'allora non potete fare la spesa. questi soldi non vanno bene'
'perché'
'perché non sono veri'
'sì, sì, soldi veri. io lavora'

anche io lavora, idiota.

il tessuto è sintetico, puzza. io mi lavo, mi deodoro, mi profumo.
ma il tessuto puzza.
odio le righe rosse e bianche. mi sembra di indossare un canovaccio.
il mio afrore mi mette a disagio. ma ho sentito che anche la collega del turno di mattina puzza uguale.
ma lei secondo me non si lava.

'signorina, posso a chiedere a lei per la promozione scai?'
'no, signora, c'è una promoter scai che le spiega tutto'
'è questo il problema. la promoter non sa niente, non sa nemmeno che scai va col satellite'
'non so cosa farci'
'è possibile che in questo posto non ci sia nessuno in grado di rispondere alle mie domande?'
'vada al reparto audiovideo e chieda di qualcuno'
'l'ho già fatto, non c'è nessuno'
'e allora proprio non riesco ad aiutarla'
'significa che andrò a fare l'abbonamento altrove'
'mi sembra una buona idea'

mancano cinque minuti alla fine del turno.
la fila è lunga, il collega con la faccia da triglia che mi sostituisce è lì in fondo che si beve il caffè.
avrei anche voglia di un caffè. e di una sigaretta fuori di qui.

'sono cinquantacinque euro e ventidue centesimi. ha i due centesimi per caso?'

aria, parcheggio, tubi di scappamento, diesel.
una sigaretta si accende, fumo si mescola a fumo.

18 gennaio 2007

rubino



mare potente, grigio striato, blu seducente.
prende una vecchia cravatta bordeaux, di lana, stretta.
ricordi di vecchi telefilm con automobili dall'unica sirena sopra il tenente che guida fumando.
guarda fuori dalla grande vetrata, vede case rosse di legno e pescherecci parcheggiati a lisca di pesce, con involontaria coerenza.
la sera si accomoda senza mai stare tranquilla.
mantiene il giusto portamento, si incanta della sua propria figura riflessa allo specchio.
prova a rifare un nodo scappino, dimenticandosi quanti giri occorrano per ottenere il triangolo duro, isoscele e perfetto.
si infila la giacca di velluto a coste. la sente pesante sulla tasca sinistra, il vecchio taccuino consunto grava di ricordi e di piccole parole rubate all'istinto.
lo prende in mano e l'apre all'ultima pagina.
'castello di stanze gelide illuminate di perlacea mezzaluna coperta da nuvole grosse e velocemente di passaggio'
non si ricorda quando e dove l'aveva scritto.
prende un bicchiere gonfio di vuoto e lo riempie con il rubino del rioja di navarra.
apre il vetro, si appoggia al telaio della portafinestra.
sorseggia e fa entrare aria di nord, mentre ragiona sul nodo della cravatta troppo stretto per una serata da solo.

07 gennaio 2007

mano

non aveva voglia di andare al lavoro, quella sera d'inverno.
avrebbe preferito rimanere con lei, a guardare il film in prima serata.

le stava accanto, seduto sul divano. lei gli chiese che fine avesse fatto l'almanacco del giorno dopo, con quel cilindro azzurro che girava e faceva la musichetta.
lui le rispose, stringendole dolcemente il corpo atonico, che l'almanacco del giorno dopo non veniva più trasmesso da qualche tempo.

lei gli disse che era sempre stata legata a quella musica, a quei lievi fischi flautati che davano serenità dopo un'intensa giornata.
'domani avvenne', ricordò con un soffio di memoria sofferta.

si pulì gli occhiali con la cravatta scura, che poi risistemò dentro il gilet.

anche gli occhiali erano scuri, grigi, dalla montatura pesante.

era un uomo buio d'aspetto, anche se dentro di sè coltivava una gioia senza confini.

uscendo, la salutò con una carezza. non voleva disturbarla nel sonno leggero dei sopravvissuti.

arrivò al lavoro dopo aver percorso un tratto di autostrada avvolto nella nebbia. lui chiamava quella zona 'la striscia di gaza', terra isolata e misteriosa, isola indefinita nell'arcipelago senza mare della pianura padana.
d'estate, andando a fare il turno di notte, gli piaceva prendere la strada provinciale, in mezzo ai campi e ai rotoli di fieno.

si sentiva un bracciante africano di un film di franco piavoli, anche se la sua colonna sonora non era satie.

la radio trasmetteva sempre le notizie sul traffico.

entrò nel suo ufficio. un posto piccolo e scomodo. aveva un calcolatore davanti e un cassetto pieno di banconote e monete.

un piccolo televisore in bianco e nero era sintonizzato su un vecchio film con mastroianni.

dopo qualche minuto vide arrivare il primo cliente della notte.

con movimento automatico, sollevò la finestra alla sua sinistra e fece uscire la mano.


arrivai al casello e porsi il biglietto alla mano che usciva dal cubicolo.

osservai l'importo sul display col portamonete in mano. un euro e quaranta.
la moneta da due euro mi cadde mentre la stavo appoggiando sulla mano, sbucata di nuovo.

bestemmiai e mi scusai con l'omino, che guardai per la prima volta.

era insignificante. occhiali scuri, un po' fuori moda, barba incolta, cravatta nera nascosta da un gilet gessato.

'faccia pure' mi disse, mentre mi sganciavo la cintura e aprivo la porta guardando per terra.
trovai la moneta, ottenni il resto facendo alzare la sbarra.
'buonasera, mi scusi ancora' lo salutai muovendomi.
'notte', sentii mentre ero già in marcia.

'che lavoro assurdo il casellante', ragionai rivolto al mio compagno di viaggio.
'già, sembra impossibile che esistano ed abbiano una vita al di fuori di quel buco'
'boh, non mi sembrano tanto diversi dalle macchine che li stanno via via sostituendo', conclusi.

alla prima rotonda, già pensavamo ad altro.

06 gennaio 2007

questione



una donna appoggiata al tramonto, un uomo in sospeso, penzolante sopra l'alba.
stavano lì, sapendo di trovarsi in due punti di vista diversi.
il tramonto per molti può essere l'alba per altri.
questione di rotondità.

rotondo, come il gusto partorito dello sposalizio tra zucca e salvia.
l'una dolce e colorata, l'altra più intensa, dipinta di verde austero.
si mescolano, unite dal sacro vincolo della pasta all'uovo.
questione di unioni di fatto.

04 gennaio 2007

intervista

segue un'intervista mai fatta e che mai si farà.

- noi siamo una forza riformista.

cioè?

- cioè mettiamo le riforme tra i punti cardine del nostro programma.

le riforme di cosa, mi scusi, onorevole?

- ma è evidente, le riforme dell'intero sistema paese. l'italia ha vissuto per troppi anni come un grande stato di serie b. noi vogliamo promuoverlo, vogliamo renderlo dignitoso nei confronti dei grandi paesi europei e del mondo occidentale.

sì, bene. però non ho ancora capito, scusi, onorevole. sa, sono di zucca dura. poi, mi permetta, io, come italiano mi sento abbastanza dignitoso. voglio dire, non mi sento inferiore ad un tedesco o ad un francese. magari hanno qualche servizio migliore, ma non tanto da permettere loro di avere più dignità di me. mi spieghi meglio. Soprattutto, mi spieghi meglio in che cosa consistono le riforme di cui lei si fa promotore, insieme a tutti i suoi colleghi dell'intero emiciclo parlamentare.

- vede, lei non ha l'intera situazione dell'italia sotto gli occhi. il nostro paese ha bisogno di riforme urgenti, ma soprattutto ha bisogno di forze politiche riformiste, in grado cioè di conoscere e di attuare le giuste riforme, con tempismo, in funzione della loro urgenza e della loro importanza. vede, nei tempi bui della prima repubblica, il sistema dei partiti, quello che viene volgarmente chiamato partitocrazia, promuoveva leggi senza avere lungimiranza, senza un programma per il futuro, senza capacità di previsione. noi, il nostro partito e la nostra coalizione, ci proponiamo di creare un "progetto italia", fatto di riforme urgenti e di leggi mirate, ad hoc, ben consapevoli dei vincoli imposti dal trattato di maastricht e del fatto di essere all'interno del sistema euro. non sono più consentite troppe libertà in termini di politica monetaria, ormai...

aspetti, onorevole, solo un attimo. il suo discorso non regge e le vado anche a dire il perché:
1- non mi sta dicendo cosa vuole riformare...

- ci stavo arrivando, le stavo spiegando appunto...

fermo là, onorevole. mi faccia finire. non mi stava spiegando proprio nulla. dunque, sono arrivato a:
2- lei se non sbaglio apparteneva ai tempi bui della prima repubblica (fa politica da trent'anni) quindi anche lei faceva parte della partitocrazia, senza programmi e senza visioni. in effetti lei stesso mi ha parlato della coalizione di partiti in cui oggi è inserito. quale sarebbe la differenza?
3- non utilizzi l'argomento unione europea come condimento insipido del discorso, per poi dimenticarsene del tutto quando si tratta di aiuti statali e di controlli governativi mirati alla sopravvivenza di aziende ormai destinate a fallire. lei ha usato più volte la parola "riforme" e altrettante volte la parola "urgente o urgenza". non la vedo molto affannato, però...

- lei mi sta innervosendo. non ho più molto tempo da dedicarle, perché devo andare ad una riunione della commissione parlamentare di cui sono presidente. comunque ignoro le sue provocazioni, che so essere in buona fede, e non intendo nemmeno proseguire con la mia spiegazione circa le riforme. mi ripeterei e so che in politica è necessario essere chiari. parlare poco e lavorare molto. ripetendomi creerei solo confusione, mentre è necessario che il cittadino comprenda pochi concetti, ma chiari. sulle riforme vedrà i risultati al momento dell'approvazione dei nostri disegni di legge da parte del parlamento sovrano.

va bene, onorevole. non voglio rubarle altro tempo. solamente un ultimo concetto che lei e i suoi colleghi usate spesso. si tratta di socialdemocrazia di stampo europeo. ecco, vorrei saperne un po' di più sul concetto di socialdemocrazia, e sul perché ci metta lo stampo europeo. si tratta del condimento a cui accennavo prima?

- vede, mi piacerebbe molto aprire un dibattito su questi concetti chiave della politica, non solo nostra, ma in generale di tutto il mondo occidentale. purtoppo il tempo mi manca. le dico solo che, dal punto di vista meramente ideologico, il vero obiettivo di tutte le forze politiche democratiche, siano esse di destra o di sinistra, è quello di trovare il modo di conciliare i principi del liberismo, del libero mercato, della concorrenza volta a creare miglioramento in termini di prodotto, con i giusti dettami del socialismo teorico, dell'aiuto a chi è più debole, della necessità da parte dello stato di fornire ai cittadini i servizi essenziali, la sanità, l'istruzione, le infrastrutture e in generale di fornire loro tutti gli strumenti per farli partire dallo stesso livello. sarà poi il diverso grado di competenza, intelligenza e di fortuna che li differenzierà, ma questo deve prescindere dalle condizioni che lo stato crea per tutti, in modo assolutamente equo e regolato. ecco in che cosa consiste la grande sfida per il futuro e i principi guida del mio partito sono proprio volti a creare le condizioni perché questo grande compromesso venga finalmente attuato. sarà un lavoro enorme, ma abbiamo la forza e l'intelligenza per affrontarlo.

ne sono convinto onorevole. buon lavoro, allora.

- grazie, anche a lei.