28 febbraio 2008

inchiostro

una ragazza alta e magra si ferma di fronte alla vetrina di una libreria.
sbircia all'interno. vede l'immagine dello scrittore del momento in piedi e sorridente, ristretto in due dimensioni.
senza accorgersene, sorride al cartone e al libro che tiene in mano.
si intitola "posizione di riposo".

le porte automatiche scorrono ai lati. la ragazza alta e magra ha ora in mano una copia di "posizione di riposo".
è fredda, grossa, odorosa di carta e inchiostro.
guarda il risvolto di copertina e vede lo stesso sorriso di prima. questa volta gli occhi sono circondati da occhiali dalla montatura azzurra e una mano è appoggiata al mento, con l'indice rivolto verso sinistra. alle spalle si intravvede mezza immagine de "la notte" di magritte.
inizia a leggere dalla prima pagina.

Camminare per la città è una delle cose che mi riesce meglio. Se la città mi è sconosciuta, poi, divento un vero maestro. Non so spiegare lucidamente il motivo di questa mia affermazione, ma credo che raccontando questa storia si possa capire meglio ciò che intendo.
Qualche tempo fa sono dovuto andare a R. Meglio. Non sono dovuto andare. Ci sono andato per un motivo molto banale: c'era una mostra fotografica di cui avevo letto la recensione in una rivista femminile che ho trovato abbandonata su un sedile del tram. Non sono molto appassionato di fotografia, a dire il vero. Ho comunque deciso di andare a quella mostra essenzialmente perché si teneva a R, e io R ho sempre voluto visitarla.

salta qualche riga e continua.

Avevo perduto il lavoro da poco. Lavoravo come curatore ittico presso il più famoso ristorante di pesce della mia città. Il titolo mi era stato affibbiato dall'autista del furgone che ogni mattina portava al ristorante il pesce fresco dal mercato. Si chiamava Cesare, detto czar a causa della sua grande passione per la letteratura russa, di cui avrà letto al massimo due libri. Era un intellettuale incompreso, che si divertiva a trovare neologismi ed epiteti in ogni occasione. In quei giorni, insomma, io essenzialmente pulivo il pesce prima di passarlo al cuoco. Ogni tanto, però, mi distraevo e i clienti del locale hanno iniziato a lamentarsi per la scarsa cura nella preparazione dei piatti. Sono stato licenziato subito, senza possibilità di giustificarmi. Tre settimane e due giorni di lavoro in mezzo al pesce mi avevano esaurito.
Non potendo realisticamente aspirare a nulla di migliore, mi sono regalato qualche giorno di ferie non pagate e ho preso il treno per R.

sfoglia altre pagine.
guarda il prezzo. costa due terzi di quanto ha in portafoglio.
chiude il libro e lo rimette in cima alla pila. non la convince.

esce di nuovo e si incammina verso la fermata della metropolitana.
scende le scale, compra un biglietto al distributore automatico, passa il cancelletto e scende verso il binario.
di fianco a lei, in attesa, vede un uomo di media statura e con la barba. sta fissando con insistenza l'insegna elettronica che elenca i successivi due treni in arrivo.
l'uomo si gira di scatto e i loro sguardi si incrociano.
'prego?' domanda lui.
'cosa?' risponde lei.
'mi pareva mi avessi chiesto qualcosa'
'no no, non ho parlato. sarà il rumore del treno, che sta arrivando'

salgono in treno, lui la fa passare per prima.
'sei di qui?'
'sì, abito appena fuori città. tu?'
'no, vengo da nord. è la prima volta. sono qui per una mostra'
'mostra di cosa? fotografica, di pittura?'
'sì, fotografica'
'ti piace la fotografia?'
'un po'. ma essenzialmente volevo prendermi un po' di pausa e ne ho approfittato'
'capisco'

prima fermata, entrano ed escono poche persone.

'dove lavori?'
'non lavoro. lavoravo. in un ristorante. ora mi sto guardando attorno'
'sei cuoco?'
'non esattamente. diciamo che aiutavo il cuoco'
'ti è piaciuta la mostra?'
'non ci sono ancora stato'

silenzio per qualche secondo.

'sai che mi sta succedendo qualcosa di strano, qui, con te, ora?'
'sarebbe?'
'assomigli tantissimo al protagonista di un libro che ho appena sfogliato in libreria'
sorriso.
'e lui, assomiglia a qualcuno?' le chiede indicando un uomo con un berretto che guarda verso il basso.
lei lo esamina da cima a fondo, seria.
'no, non assomiglia a nessuno... comunque è vero, sai, quello che ti dicevo'
'quanto hai detto che hai letto di quel libro?'
lei ci pensa un attimo e risponde: 'una pagina, scarsa'.
lui la guarda intensamente.
'e tu pensi di conoscere la mia vita solo dopo averne letto una pagina scarsa? pensi di aver capito tutto con così poco?'
dopo aver ascoltato queste parole, lei si volta verso l'uomo col berretto. che continua a guardare in basso.
quando si gira di nuovo, l'uomo di media statura con la barba non c'è più. il treno è fermo ad una stazione. la sua stazione, dove deve scendere. con uno scatto, riesce a non farsi intrappolare dalle porte che si stanno chiudendo e si ritrova fuori. il treno dietro di lei riparte, veloce.
dall'altra parte, al binario che va in verso opposto, lo vede. è in piedi e guarda con attenzione l'insegna elettronica dei treni in arrivo. lo chiama. lui non sembra accorgersene.
da lontano le appare diverso da prima. lo richiama. lui non sente.
lo vede cercare con lo sguardo una sedia libera, lungo la parete, sotto la mappa colorata della città.
lo vede sedersi, con sguardo sofferente di chi ha camminato troppo senza prendersi una pausa.
arriva il suo treno. riparte. lui è sempre seduto lì.
in posizione di riposo.

26 febbraio 2008

mela

un uomo dai capelli argentati parla ad un altro uomo, in piedi, sotto un fungo calorifero.
entrambi fumano e hanno una tempia arrossata dal caldo artificiale.
il bar è sotto un portico noioso, al piano terra di un condominio moderno, largo, basso e bianco.
di fianco, un centro estetico senza insegne, un'agenzia di viaggi alla cui vetrina albeggia il sole di malindi, e, poco più in là, una pizzeria al taglio che pubblicizza consegne a domicilio senza sovrapprezzo.

'ti ricordi il suo viso?'
la testa grigia viene scossa lentamente.
'me ne sto dimenticando'.
sbuffo di fumo, colpo di tosse.
'hai qualche sua foto?'
sorsata di vino.
'sì, una. sgranata e mossa. non vedo i suoi occhi'.
sorriso.
'sei sicuro di ricordarteli, i suoi occhi?'
sguardo stupito.
'credo di sì. erano piccoli'.
la testa si inclina di lato.
'e cosa ti ricordi? ci sarà qualcosa?'

c'è un cucchiaio di legno bagnato di olio d'oliva.
c'è un avanzo di luna che nuota nel cielo fritto dell'alba sul mare.
c'è un mozzicone di sigaretta trovato per terra da un disperato che fa il verso del lupo.
c'è la donna più bella del mondo che svolazza tra i tavoli di un bar del marais.
c'è un pollo sgozzato appeso immobile come un pendolo rotto.
c'è profumo di pesce al mercato di giorno.
c'è lasciare indietro qualcosa in ogni posto dove ci si è fermati un attimo a pensare.
c'è soffiare fumo dal naso dopo l'amore.
c'è rompere un oggetto banale, regalato anni prima.
c'è comprare una mela e lanciarla per aria.

'tutto qui?'
'c'è anche l'ingresso di un bar. e un cappello appeso all'attaccapanni, all'interno, sulla sinistra'
'cosa c'entra?'
'non so, però me lo ricordo.'

i ricordi più forti del passato sono piccoli, intensi, unici.
atomi pesanti carichi solo della loro esistenza.

21 febbraio 2008

ombrellino

si avvicina a lei. è un'ombra, allungata, di un lampione nero che si prepara a rischiarare la notte.
le parla. non riceve risposta.
la mancanza d'ascolto è un pugnale.
attraversa la strada e si ferma di fronte ad un bar.
ci sono le decorazioni, in vetrina. addobbi di feste minori.
c'è un pupazzo, con gli occhi che si accendono, che canta 'a mezzanotte sai che io ti penserò'.
la voce sintetizzata è imperfetta e gracchiante. nelle pause tra una strofa e l'altra, il rumore bianco è amplificato. sembra il suono delle onde al tramonto.
festa minore di una balera in riva al mare, tra sudori, cappelli di paglia e magliette sbiadite.

entra nel bar. lo saluta una donna. gli chiede cosa prende.
si siede ad un tavolo stretto. di fronte, due ragazze dal sorriso bianco su fondo scuro parlano al telefono. contemporaneamente.
si campionano poche frasi, porto di genova, arrivo alla stazione dei treni, controllo l'orario, ti so dire.

ventilatori al soffitto, piante finte sui vasi di terra sterile, rami che si attaccano alle pareti.
il panino è buono. la birra lo sciacqua giù e gli dona piacere.
è pane dolce, con l'uvetta. morbido, burroso. mastica di gusto. beve. mastica. beve.
ultimo sorso.
una risata, forte, stonata. volgare. un 'va bene' pronunciato con accento straniero.
festa minore di un po' d'africa in giardino.

passano le ore, passano gli oceani.
la tastiera è posizionata e collegata. la cantante è densa delle sue tette e della sua bocca enorme che muove per modulare i will survive. con poca convinzione.
alle pareti, gli schermi trasmettono una partita di basket. i giocatori palleggiano con l'eleganza di un cedro, portandosi la palla sopra la testa e sbattendola con manate selvagge.
tutti si parlano, in maniche di camicia, con la cravatta slacciata. a gruppetti di due o tre. ridono. si danno deboli pugni di intesa sulle spalle.
ci sono quattro ragazze col cappellino a punta e la bacchetta magica appoggiata sul bancone. una di loro fa ruotare con due dita l'ombrellino rosso del gintonic, senza riuscire a volare via.

festa minore di soddisfazioni effimere.

teorie di semafori. incroci perpendicolari. scritte bianche su fondo verde indicano nomi di strade dal sapore di castiglia. redondo road. rancho cucamonga. chino avenue.
l'auto riparte con progressione costante. dopo qualche centinaio di metri si ferma nuovamente. rosso, giallo, verde, giallo, rosso.
guarda e riflette. riflette luci dell'alba e fari nella foschia.

assapora l'idea di un mondo sospeso. pensa di sollevarsi e volare, tra piemmedieci e sorelle ancora più piccole, infide e maliziose.
si vede in alto, col freddo, con la l'aria che cade, sporca di grigio.
assapora l'odore di arrosto ben cotto, composto da vapori di gasolio e benzina senza piombo.
il mondo sospeso fa presto a precipitare a terra, sull'asfalto drenante, sopra linee di vernice blu, gialla, bianca.
in coda.
le facce sono ferme, impassibili. nessuno è accigliato o arrabbiato.
c'è chi regola la sintonia della radio.
c'è chi si sintonizza l'areazione delle cavità nasali.
c'è chi beve saliminerali.
c'è chi si liscia la barba col pettine.
c'è chi si crede il migliore.
c'è chi è convinto di non essere importante.

e c'è anche chi sa di partecipare ad una festa minore senza essere stato invitato.

17 febbraio 2008

albume

che freddo che fa stasera. non c'è nebbia. è proprio freddo secco, di quelli che ti tagliano.
maria è meglio che stia dentro con luca. è stanca maria, e si deve essere beccata l'influenza.
dovremo chiudere, se maria sta male. vabbè, ci penseremo.
quel tipo che sta entrando ha un fanale rotto. forse lo sa già.
gli prendo le chiavi. quanto ha detto che devo fargli?
'scusi, il pieno per cortesia', mi dice, dalla fessura della portiera appena aperta.
l'ho appena guardato, e mi sembra un po' tirato. è uno a posto, un giovane che lavora. è vestito bene, porta la cravatta e la giacca sotto il cappotto.

luca sta peggiorando. secondo me in questi giorni si è preso un raffreddore. bisogna che chiami il dottore, l'ultima volta mi ha pregato di avvertirlo se notavo qualcosa in luca. qualsiasi cosa, mi ha detto. evidentemente siamo alla fine, ma non me lo vogliono dire. non capisco.
il giovane esce dalla macchina e mi si avvicina con la cartacarburante in mano. vedo che esita. si è accorto di luca.
'dovrei pagare con carta di credito'. sembra quasi che si stia scusando. ha capito che dobbiamo entrare.
è a disagio. gli confermo che bisogna entrare per la carta di credito e per il timbro.
arriva un'altra auto. maria la vede ed esce. io non voglio che esca, ma devo far pagare questo qui. beh, starò dentro io un po' assieme a luca.

sento che dice 'buonasera' a luca. strano, non mi ricordo nessun altro cliente che si è mai rivolto direttamente a lui. deve essere una persona educata, di buona famiglia. o forse no. in fondo, non me ne frega un cavolo. mi basta che paghi e se ne vada. e che, assieme a lui, se ne vadano tutti. ho bisogno di un bagno caldo e di una sigaretta in vasca da bagno.
gli chiedo di firmare lo scontrino e gli guardo il viso. sembra stanco, è pallido. o forse sarà solo il freddo. la barba incolta stona un po'.
luca geme. non mi abituerò mai a sentirlo.

vedo che il ragazzo non ha chiuso bene la porta dietro di sè, uscendo. non l'ha fatto apposta, evidentemente credeva che si chiudesse da sola. capisco che se ne voglia andare in fretta da qui. tutti se ne vogliono andare in fretta. chi rimane, alla fine, siamo solo io e maria.
si volta. ha capito di non aver chiuso. ma lo anticipo e chiudo io, dicendogli di non preoccuparsi. non voglio che l'ufficio si riempia di aria gelida.

mi giro verso luca. sento il rumore dell'auto del giovane, che ha messo in moto e se ne va lentamente.
luca guarda il soffitto. la bocca è tirata di lato.
per un attimo credo che mi stia sorridendo.

si ferma. spegne il motore. aspetta.
vede arrivare un'ombra da dietro. abbassa il finestrino quanto basta per consegnare le chiavi alle dita sporche di nero.
richiude il finestrino. si passa la mano sul viso. è da quattro giorni che non si fa la barba.
sente bussare. vede una faccia sotto un berretto di lana gialla. e due occhi piccoli e molli. ma dolci.
gli fanno bene i suoi occhi. sente il bisogno di dolcezza.
'non ho capito quanto vuole'. le parole sono attutite dal vetro.
non l'aveva detto, in effetti.
apre la porta e mormora 'scusi, il pieno per cortesia'.
richiude la porta e si stringe nel cappotto. sente freddo. la stanchezza fa sentire più freddo, dicono.
e lui è stanco. stanco come non lo è mai stato. stanco come nessuno mai potrà esserlo.

prende le carte dal cruscotto e scende.
vede il benzinaio che osserva la strada, mentre controlla la pistola del gasolio con due dita.
è una stazione di servizio piccola. solo due pompe. deve essere una gestione familiare.
infatti, dentro il minuscolo ufficio intravvede una donna, seduta su una sedia di fronte alla cassa.
di fronte alla donna, e di spalle alle confezioni di olio e di liquido per radiatori, rivolta verso l'esterno, c'è una figura che stona con tutto il resto.
la luce del neon lo avvolge uniforme.
l'uomo di media statura e con la barba trascurata si blocca.
gli occhi si fanno a fessura, per osservare meglio.
sì, non c'è dubbio. quella di fronte alla scrivania del benzinaio è una carrozzella.
e, sulla carrozzella, c'è un uomo dalle spalle strette e viso oblungo.
scatta movimenti veloci, o si perde nel tentativo di ruotare la testa e il collo.
il resto del corpo è pressoché immobile.

ora bisogna pagare. bisogna entrare nell'ufficio assieme al benzinaio dallo sguardo di miele.
l'uomo di media statura gli guarda la barba, che è più trascurata della sua.
ha delle rughe profonde sotto gli occhi, e le labbra secche, come tagliate da un vento contrario.
'dovrei pagare con carta di credito'
'benissimo, bisogna entrare un attimo, però'
appunto. lo segue. entrano assieme, mentre la moglie esce per servire un altro cliente.

eccolo. proprio di fronte.
'buonasera', sussurra veloce rivolto al bracciolo della carrozzina. non lo guarda in faccia. cerca di evitarlo. anche perché la testa continua a muoversi. prima indietro, con una terribile smorfia di dolore, come se una lancia gli avesse trapassato la schiena.
poi di lato. gli occhi sono aperti, sbarrati. uova senza guscio nè tuorlo. solo albume liquido. e due puntini di pupille scollegate che vi naufragano.
il benzinaio sta digitando l'importo sulla macchinetta della carta di credito. esce lo scontrino. rumore dello strappo.
'mi fa un autografo qui?'
mentre firma, l'uomo di media statura sente un gemito soffocato. lui si trova a un metro dalla fonte di quel gemito.
alza lo sguardo verso il benzinaio, che sta guardando lo scontrino e sembra a proprio agio.

ringrazia, si sente addosso un sorriso timido e spento. esce. la porta non si chiude perfettamente. si volta, ma il benzinaio l'aveva già raggiunto.
'non si preoccupi, faccio io. è freddo fuori. non è buono che entri freddo nell'ufficio'

no, non è buono.