25 marzo 2008

cuoio

sdraiato, pensando pensieri a cui non aveva mai pensato prima, tossisce con animo seccagno emettendo espettorato d'odio e rancore.
il letto è troppo piccolo, fa caldo, c'è odore di zuppa riscaldata che entra da qualche presa d'aria intasata. vorrebbe allungare le gambe fino a sentire tutti i muscoli del corpo in posizione d'afelio.
ascolta i rumori dalle altre stanze. sente amori soffocati di principianti clandestini, e il colpo secco di una lampada in frantumi.
si alza. apre la porta sulla veranda, dove le finestre sono spalancate. entra un po' d'aria della notte.
sedia bianca e posacenere abusato di fronte al suo sguardo. sotto, nervosi andamenti pelvici disegnano lo stantuffo umano della città che non si addormenta mai.
torna in stanza per recuperare la bottiglia senza etichetta d'amaro alle erbe, apre il tappo metallico a vite facendo scivolare il pollice di una mano, mentre con l'altra si accende una sigaretta corta senza filtro.
si siede sulla sedia, allunga finalmente le gambe e i piedi. il polpaccio della gamba destra gli duole il vago ricordo di una valigia di cuoio distratta e ondeggiante.
(è licenza di modo transitivo, sono un complicato viaggiatore stanco, dice rivolgengosi ad un pubblico addormentato in sala, in un improbabile 'a parte' teatrale)

socchiude gli occhi, mantenendo una fessura sul mondo.
ha fame. sente un crampo che parte dalle viscere, sfonda il piloro, circumnaviga ernie iatali ed esplode, sordo, nell'esofago.
sogna cibo remoto nel tempo e nel gusto.
mangia miaccia della valle piemontese, arrotolata di affettati dall'odore di fumo.
beve caffè arabo al cardamomo, servito prendendo le tazzine dal bordo.
ingoia lasagne al ragù di foca artica, in un ristorante buio e legnoso che guarda dall'alto il circolo polare.
si ingolfa la gola di torta al limone dalla consistenza di spugna in uno starbucks lungo la strada dal traffico americano, intenso ma preciso.

ha male alla testa.
musica. il ritmo libero di marcus miller si espande per tutto il corpo. poi si spegne. cambia.
una voce ipogea ripete in inglese che il diavolo non esiste, perché è solo dio quando è ubriaco.
parole ben poste.
come la scritta 'lavami' disegnata da un dito dispettoso sul vetro dell'auto, nel mezzo di un deciso strato di polvere.
e la risposta 'no, mi piaci sporca', invero molto azzeccata, incisa subito sotto.

la bottiglia è ormai a perpendicolo sulla sua bocca e sul mondo. finita.
la sigaretta si è spenta giusto sotto la metà. ipòssica.
i muscoli hanno smesso di emettere dolore transitivo. assenti.

il campanile lontano sovrasta la notte, numerando le ore del buio con rintocchi di note calate di un semitono.
bemolli che mettono pace.

da qualche parte, qualcosa ricorda a tutti che è necessario fermarsi, prendere fiato, guardarsi attorno, e decidere dove andare.

23 marzo 2008

sconto

guarda i pantaloni con occhio bovino.
li prende pizzicandoli con due dita sui lati, e se li piazza davanti agli occhi.
li gira, li allunga. osserva il cavallo, la cerniera. esamina le pieghe e l'imperfetta stiratura.
non è convinta. si vede. non le piacciono.
il colore poi, che dire del colore. nessuno l'ha mai considerato prima. c'erano colori più accesi, sicuramente.
sono finiti. questo è l'ultimo paio della sua misura.

decide di provarseli. entra nella cabina, e chiude le tende.
le vedo le caviglie e i piedi, da fuori. ha caviglie sottili e piedi piccoli.
indugia. si starà guardando le gambe allo specchio.
finalmente se li infila. sono lunghi, ridicolmente lunghi. si china per piegare l'orlo. rispuntano i piedi e i calzini azzurri.

rimane dentro per cinque minuti. immobile.
ci sono persone che hanno paura di guardarsi allo specchio.
lei no. evidentemente sta passando lo sguardo dall'alto al basso. forse sta facendo smorfie a se stessa.
si lancia baci. inclina la testa a destra, a sinistra. indugia sulla lieve rotondità del bacino, sul suo essere donna.

eccola che si gira e apre la tenda. ha lo sguardo confuso.
'come le sembrano?', mi domanda con un filo di voce.
'belli', le rispondo senza pensarci. e sorrido. il mio lavoro è sorridere e far sentire a proprio agio i clienti. meglio se con un indumento nuovo addosso.
lei mi osserva. sta cercando di capire se sto mentendo.
'dice davvero? non so, è che mi sembrano un po' stretti. e il colore, poi, non mi dice un granché'
'no no, questo modello deve andare stretto. se fossero più larghi le cadrebbero sulle ginocchia. allora sì che sarebbe poco elegante.'
'e il colore?' sembra rassegnata.
'il colore è molto particolare, in assoluto. non va con tutto. sicuramente non è il massimo con il maglione che indossa ora. ma vedrà che con una camicia dal colore neutro starà d'incanto.'
'quanto ha detto che vengono, con lo sconto?'
'trentadue. guardi, le faccio trenta così si convince'
'uhm... non so. sono indecisa. certo il prezzo è buono. poi qualcosa con cui abbinarli la troverò di certo. è che mi sento un po' piatta, poco elegante. non vedo la linea del mio corpo.'
cambio strategia.
'guardi, se non si sente sicura, la cosa migliore è lasciar perdere. secondo me sbaglia, perché questi pantaloni sembrano cuciti addosso a lei. ma faccia come si sente.'
'li prendo.'
colpita e affondata.

paga ed esce. la vedo che si avvolge nella sciarpa e stringe gli occhi, mentre il vento di primavera se la porta via.
vorrei uscire a chiamarla. vorrei chiederle scusa, dirle che in realtà penso che la scelta sia sbagliata. ma non lo faccio. rimango immobile. provo a pensare ad altro.
non ci sono clienti, il negozio è rimasto vuoto.
scosto la tenda ed entro in cabina. mi guardo allo specchio, senza capire chi vedo.

esco di corsa. mi dirigo verso il centro. la individuo. sta guardando la vetrina di un negozio di dischi. le sono dietro, col fiatone. lei si volta e mi vede. ha lo sguardo preoccupato.
'mi sono scordata qualcosa in negozio?'
'no', le dico con un filo di voce, 'torni con me. i pantaloni che ha preso le stanno male. le rendo i soldi.'
lei mi guarda, rilassata.
'perché non me l'ha detto subito?'
'perché volevo sbarazzarmi dell'ultimo paio di pantaloni di quel modello. ma l'ho fatto prendendola in giro. e questo non è bello da parte mia.'
ride.
'vede, in fondo sapevo che lei non era sincera. il fatto è che mi sono spaventata guardandomi allo specchio, in cabina. c'è una luce strana lì dentro.
volevo uscire di fretta dal negozio e fare l'acquisto mi sembrava il metodo più veloce.'

la prendo sottobraccio e la riporto in negozio.

le scelte sbagliate nascono spesso da immagini distorte. e dalla poca voglia di metterle a fuoco.

20 marzo 2008

pentolino

nel cucinino stretto il pentolino con il sugo di pomodoro emana vapori d'estate.
la pentola dell'acqua bolle fumi di sale e frumento.
al momento giusto si scola la pasta.
si versa sul piatto, si aggiunge il pomodoro caldo.
il parmigiano vola a coprire di candore e di gusto.

il tavolo è grande. preparato con cura.
cena solitaria, osservando fuori dalla finestra il buio della città che dorme.
si versa il vino. si sorseggia.
tepore in gola, giù fino allo stomaco.

ho visto nina volare, canta fabrizio a volume basso.
tra le corde dell'altalena, aggiunge.
poi si interrompe. troppo tardi per la musica. c'è gente che riposa a quest'ora della notte.

rimane il silenzio. e il vuoto di un piatto finito.
altro vino, due dita, quanto basta per la soddisfazione stanca.

acqua che scorre dal rubinetto e bagna l'unico piatto e l'unica posata.
è fredda.

si spegne la luce. si tocca tavolo che è ora di nuovo nudo del suo legno scuro e massiccio.
qualche bagliore arriva dalla finestra aperta.
divano. si allungano le gambe sul tavolino.
la testa si piega all'indietro.

i pensieri volano altrove.
vento che muove pale.
sole inatteso.

di nuovo l'alba.
buongiorno.

16 marzo 2008

vortice

notte, buio imperfetto, sonno mai arrivato.
il letto ha pieghe e densità poco note. si è sdraiati. non si riescono a mettere a fuoco gli angoli del soffitto.
le pareti sono spoglie.
una stampa turistica sbiadita, un quadro di un paesaggio senza sentimento. odore di fumo.
si infilano cuffie bianche all'orecchio.
parte la musica, possente, nel silenzio del sonno altrui. le parole entrano direttamente in testa, senza intermediari. le singole sillabe sono scandite e battono il ritmo di memorie e di immagini.
immagini di momenti condivisi, di strade guidate, di sorrisi sinceri.
poi arriva la vecchia canzone. e sono memorie di cassette, reclamate con insistenza dal sedile posteriore, e infilate nell'autoradio della vecchia auto rumorosa e grande. quella col plaid, che sapeva di caldo d'estate e di freddo d'inverno, che era guidata dalle mani più esperte e sicure del mondo.

la musica va avanti, si è distratti, preoccupati. preoccupati di essere malati. di non poter più descrivere. di non poter più provare la voglia di osservare e di fissare l'immagine con poche parole ben temperate.
l'immagine di bere vino scadente in un bicchiere di plastica liscia e trasparente, mentre di fianco una donna addormentata porta la borsa in grembo e la testa appoggiata alla parete dell'aereo. oltre a lei, le nuvole sopra il cielo slovacco sono gonfie.
l'immagine di passeggiate notturne per i vicoli di madrid, con il sorriso alcolico stampato sulla
faccia piccola e rotonda. e poi baciare quel viso con forza, facendosi male, perché si sente che non è mai abbastanza.
l'immagine di labbra strette, quasi annullate, mentre pensa con intensità o quando un pensiero l'assale.
immagini, parole, suoni. se si mettono insieme, entrano in un vortice imperfetto.

rumori. il treno che torna a san francisco passa veloce, al di là del giardino. ma ci si abitua. non ci si sveglia più.

una donna vecchia aspetta alla fermata dell'autobus. si vorrebbe farle una fotografia. ma niente, si è di fretta, non ci si può fermare.
un contadino aspetta ad un'altra fermata, uguale alla precedente, lungo la strada che ondeggia tra colline e villaggi.

una ragazza alta e bionda si ripara dalla pioggia dentro una terza fermata, decine di chilometri più avanti.
e l'autobus non c'è. non si è visto. non si sa se arriverà mai. ma queste persone aspettano.
si vorrebbe fotografare e fissare lo sguardo di questi uomini e di queste donne. collezionare visi di persone sconosciute che aspettano un autobus fantasma lungo la strada polacca, al confine con la bielorussia.


conversazioni.
un uomo di bell'aspetto racconta di sè, delle sue immaginazioni, delle sue bugie.

della sua vita randagia tra fiumi di champagne e donne bellissime.

della sua religione e del senso che solo lui riesce a dare alla natura delle cose.

della sua positività, dell'ottimismo di fondo che pervade la sua esistenza.

della sua sciarada ad incastro, formata da concetti semplici e slegati tra loro.

è una figura che si confonde tra i respiri di vodka-martini e cognac, e si avvolge nel caldo e umettante abbraccio di un enorme sbadiglio.

si sta dormendo ormai. la musica continua. è cambiato brano.
si sogna. si sognano mondi paralleli formati da scelte diverse da quelle che si sono fatte. si pensano soluzioni migliori. si adora l'illusione e con essa ci si droga. e non si vorrebbe smettere più.

confusione. forse basta solo la luce del giorno.
e qualcosa di insapettato che indichi la via.

06 marzo 2008

ragno

chiudere un pugno, pensando a far male.
chiedere indifferenza, disperando un'offesa.
salvare la vita di un ragno, immaginandosi lui.
definire dettagli, senza un programma.

fare una foto, e non svilupparla.
salire una cima, e non girarsi a guardare.
masticare del pane, senza aver fame.
chiudere la porta, quando fa caldo.

perdere il filo, quando si ha torto.
mostrarsi sicuri, con le gambe che tremano.
domandare il perdono, di chi ha commesso il peccato.
sentirsi smarriti, in una strada ben dritta.

guardare per aria, e non inciampare.
procedere a testa bassa, e scivolare su un sasso.
bere due litri, e sentirsi leggeri.
assaggiare un bicchiere, e vomitare con sforzo.

la testa pesante, i discorsi che frullano.
le mani che sembrano quelle di un altro.
sudare d'inverno e tremare d'estate.
certi di far bene, per poi fallire del tutto.

sostituire la rètina con una pellicola sensibile.
prendere una candela che illumini il buio.
alzare gli occhi e guardare là dietro...

si vedono più cose, va bene, lo ammetto.
sembrano belle, o almeno s'intonano.
ma sono sgranate, c'è tanto rumore.

rumore di sforzo a rendere nitido.
ciò che non sembra, ma è meglio così.

03 marzo 2008

ovale

un palloncino rosa, di plastica gonfia e leggera, rimbalza sul davanzale di una finestra.
due saltelli, un rinterzo sulla maniglia, uno spigolo del termosifone, ed eccolo volare fuori.
il vento è teso e l'aria è tersa. il sole scalda le poche ombre rimaste al freddo di un inverno che singhiozza gli ultimi spasimi d'orgoglio.
passa un'automobile scura e penosamente squadrata sul retro. il volto aggrottato del guidatore solitario è dipinto dietro al parabrezza.
alla vista dell'ovale rosa che attraversa la strada sulle strisce pedonali poco prima della rotonda, il viso del suddetto autista muta in un'espressione interrogativa.
che ci fa un palloncino rosa per strada? è l'ora del pranzo, del panino veloce, della scorsa al giornale locale, del caffè col cioccolatino imperfettamente sferico... che ci azzecca, insomma, un esule di festa in quello scenario di monotòna e irreversibile continuità quotidiana?
questi ed altri dilemmi sono durati pochi secondi nella testa un po' stordita del pilota d'auto proletaria.

per ottenere l'oblio, è bastato l'arrivo al bar dal parcheggio immediato, la vista del solito professore in pensione che parla di gol funambolici e di decisioni arbitrali interamente orchestrate da poteri occulti e transgovernativi, le due ragazze che si confidano segreti amorosi e tradimenti tanto epici quanto inverosimili, la barista dalla voce stridula e l'accento insopportabile che ripete con tono aberrante l'ultima parola di ogni ordinazione ricevuta, il ticchettio continuo dei tasti del videopoker, del quale il giocatore assiduo osserva lo schermo con sguardo invasato, languido di aperitivi colorati in arancione.

il palloncino rosa, nel frattempo, ha continuato il suo percorso rimbalzante. dal marciapiede alla rotonda, si è per pochi minuti incastrato tra i rami di un albero basso e spoglio. poi il vento lo ha liberato di nuovo.
una donna in bicicletta lo colpisce con la ruota anteriore, maledicendo e associando al divino curiosi zoomorfismi, come è d'uso in quei luoghi in presenza di una più o meno marcata deviazione dallo scorrere naturale degli eventi.
senza bucarlo, lo ha rimesso in gioco, e, utilizzando una terminologia cara al di cui sopra professore in pensione, ha involontariamente servito un cross a centro carreggiata. l'auto scura e inguardabile, di ritorno dal bar, non ha potuto fare altro che finalizzare il gol, in maniera goffa da mediano di interdizione, colpendo il palloncino col fanale di destra.
l'impatto è stato fatale.
brandelli rosa sono svolazzati, stocastici, per pochi decimi di secondo.
sono poi ricaduti sull'asfalto, disordinati come universi paralleli ed indipendenti.

l'universo parallelo ed indipendente di un suonatore di strada, che bacchetta con ritmo il vibrafono nella gelida notte della capitale del nord. nessun piano, nessun progetto. solo piccole correzioni di rotta ogni tanto, quanto basta per evitare la deriva.
per il resto, rimangono melodia e note intonate, alla faccia dell'indifferenza di chi passa senza nemmeno donargli gli spiccioli.