12 maggio 2009

briciole

ora
sono seduti di fronte, si guardano.
sollevano insieme una fetta biscottata spalmata di miele e la addentano.
non smettono di guardarsi mentre le briciole cadono dalla bocca e rimbalzano sul tavolo.
alcune vanno sulle ginocchia, altre per terra.
masticano lenti.

prima
l'appartamento è vuoto e la ragazza dai capelli rossi ha appena aperto le finestre.
ha ancora la borsa della spesa in mano e rimane in piedi in mezzo alla sala.
dentro la borsa ci sono fette biscottate, un vasetto di miele e un cucchiaino.
per terra, una bottiglia di verduzzo ramandolato e due calici di vetro già lavati ed asciugati, avvolti in carta assorbente.

ora
con ancora una goccia di miele sull'angolo della bocca, lui si alza. prende la bottiglia, che stappa con facilità.
versa il verduzzo nei calici. le porge il suo.
brindano velocemente.
bevono lenti.
appoggiano i bicchieri. lei spalma miele su altre due fette biscottate.
'e pensare che non mi era mai piaciuto il miele', dice lui, interrompendo il silenzio.
'nemmeno io lo mangio spesso. solo che mi pareva una bella idea'
'un brindisi alla bella idea, allora'
'ooh' si interrompe lei. il fondo del suo bicchiere ha lasciato una circonferenza incompleta sul piano del tavolo. si alza e si affretta a prendere la carta assorbente che avvolgeva i calici.
lui la blocca con la mano.
'no, non farlo. lascia così'

prima
lo aspetta. aveva detto che sarebbe arrivato presto con la cassetta degli attrezzi di suo padre.
il tavolo ikea è ancora chiuso nel suo imballo, appoggiato alla parete.
è un tavolo lungo. marrone scuro. lei lo voleva più chiaro. alla fine aveva vinto lui.
avevano deciso di iniziare dal tavolo.
perché una casa per iniziare a non essere più vuota, deve avere un tavolo.
e quattro sedie con cui abbozzare i primi inviti.

ora
lei osserva la macchia restringersi lentamente. rimane solo un piccolo filo, perfettamente circolare, che si interrompe due volte.
'ma poi rimane?'
lui sorride.
'sai che queste sedie vengono da casa di mia nonna?'
'sì'
'sono vecchie. le ho sempre ammirate. sono sedie di legno robusto, che si appoggiano bene, non traballano, non scricchiolano. anche la paglia è ben tenuta'
'sono state mai usate?'
'la nonna aveva un'osteria poco fuori città, lungo la statale. queste erano le sedie di un tavolo sull'angolo opposto al bancone, vicino all'ingresso. mi ricordo che si sedevano sempre quattro professori in pensione. giocavano a scopone scientifico, bevevano tamarindo e bestemmiavano in italiano, associando al divino bizzarri animali e curiosi mestieri'
ridono. di gusto, stanchi e con i muscoli delle spalle indolenziti.

prima
bussa alla porta, lo fa entrare.
lui è sudato, afferra la cassetta blu di ferro con due mani e si dirige verso la sala.
estrae un cacciavite, una forbice grossa e un martello.
'al lavoro!'
tirano fuori tutti i pezzi e si dividono i compiti.
lei è addetta a decifrare le istruzioni e a preparare i tasselli e le viti da usare ad ogni passo.
lui martella, avvita, solleva, allinea.
'guarda che quel supporto l'hai montato storto! non vedi che poi non ci passa la gamba?'
lui annuisce, sconsolato. insieme si aiutano a rimettere i pezzi in senso logico.
'perché se hai quattro viti, le fissi in quest'ordine? cioè, ti guardavo prima. parti con una, poi vai in diagonale, poi ritorni e chiudi con l'altra diagonale. che senso ha?'
'non ne ho la più pallida idea. l'ho visto fare al gommista con i bulloni della ruota della mia macchina. ci sarà un motivo, no?'

ora
si versano l'ultimo bicchiere. lei fruga nella borsa e si accende una sigaretta.
'non dovevi smettere?'
'sì, ma sognavo questo momento da anni'
'allora non ti voglio svegliare dal sogno'
lui si alza e apre la finestra. l'aria è tiepida, ma il cielo si sta scurendo.
'verrà un temporale, credo'
'bello! hai portato della musica?'
'sì, aspetta, ho una radiolina nella tasca della giacca'
la prende, l'appoggia sul tavolo e l'accende.
rumore bianco, poi voci, suoni.
un tuono e una folata di vento. prime gocce pesanti.
luce di lampo.
temporale.

prima
'che te ne pare?'
'mi pare che siamo stati bravi, no?'
spostano i cartoni e il cellophane, prendono le sedie e le mettono a due a due lungo i lati lunghi del tavolo appena costruito. niente capotavola, il convivio è per persone vicine.
'ora possiamo festeggiare!' squilla la voce di lei sollevando il sacchetto e la bottiglia.

poi
una ragazza dai capelli rossi si sveglia improvvisamente. ascolta e non sente nulla.
guarda l'ora. sono le quattro del mattino. è sola, come sempre di notte.
si alza e va in cucina a bere un bicchiere d'acqua.
vede i piatti da lavare e i cartoni della pizza da buttare via.
appoggia il bicchiere sul tavolo, vicino alla lettera del padrone di casa che le chiede l'aumento istat dell'affitto.
vuole anche gli arretrati degli anni precedenti.
con gli interessi.


11 maggio 2009

molino

un vecchio senza bastone cammina aggrappato ad una donna robusta dai capelli color cuoio.
è sole, tepore, tarda mattinata, domenica.
indossa un maglione giallo sgargiante, una camicia a righe larghe blu e bianche. porta pantaloni grigi di due taglie più grandi.


un giovane di mezza statura e con la barba sta seduto ad una panchina e legge un breve romanzo di vita vissuta.
li sente arrivare. sa che c’è un’altra panchina dietro di lui, leggermente in ombra.
sente le loro voci avvicinarsi.
“ci sediamo lì, così ti riposi un po’.” la donna ha un forte accento dell’est.
“sei contento che oggi sia bello?”
è brava di congiuntivo, pensa il giovane osservando un gruppo di bambini che gioca a strega-comanda-color sul prato di fronte.

“sì, è bello. però è venuta tanta pioggia quest’anno.”

“sì, ma oggi godiamo il sole. poi torniamo a casa così ti riposi.” molti silenzi di ragionamento e di costruzione tra una frase e l’altra.
“hai sentito la mirella? tuo fratello diventerà nonno, sei contento?”

silenzio. poi una voce sottile di risposta.

“sono vecchi, i nonni.”


passano i minuti. il giovane di mezza statura e con la barba li sente alzare. lei lo prende sottobraccio e lo trascina per i primi metri. poi lui riprende il passo. ha i piedi piccoli. si ferma in mezzo al vialetto e, guardando l’erba di lato, sussurra:

“avevo un molino. quando dosavo un chilo di farina, all’inizio ne prendevo tanta, senza pensarci. poi però, gli ultimi grammi li misuravo per bene, con la punta della sessola. andavo preciso, attento. lento.”

lei gli posa una mano sulla spalla incurvata.
“bene, dai. ora però andiamo, che è tardi.”
e si incamminano.
precisi, attenti. lenti.


07 maggio 2009

rotondo

il cielo è opaco ma brillante di luce pomeridiana.
la discesa è intensa al di là del cancello chiuso.
premo un pulsante, attendo risposta.
silenzio.
mi guardo attorno e vedo ulivi e alberi da frutto.
non so che frutti siano, non me ne intendo.
l'auto è messa di sbieco sul tornante, il motore ronza al minimo

vedo un numero di telefono fisso. lo compongo, lo chiamo, sento libero.
mi risponde ancora il silenzio. nessuno si occupa di me.
poi un numero di telefono mobile. lo compongo, lo chiamo, sento libero.
una voce mi dice buonasera, personalizzato, con stile e voce suadente.
chiedo informazioni, dico che voglio fermarmi per mangiare e per dormire.
sento disponibilità, prezzi. mi si domanda se sono intollerante a qualche cibo.
mi sento accolto, coccolato, ben voluto.
quasi atteso.

una vecchia con forte accento toscano e la voce da ex fumatrice di trinciato essiccato, marcito all'umido di un clima infausto, mi accoglie con passi corti ma decisi.
mi porge chiavi, mi conduce in camere al di là della sala, che chiama con nomi di fiori.
c'è il tulipano, l'orchidea e altri fiori che non so ripetere.
scelgo la mia in funzione del letto grande e della finestra di fronte che dà sulla valle.
fuori ci sono montagne. iniziano le alpi.
ma-con-gran-pena-le-reti-cala-giù. ricordi elementari.
quelle che vedo credo siano le "ma".
è un avversativo, quasi un avvertimento che fatico a decifrare.

torno dalla vecchia, dentro la grande sala con tavoli apparecchiati a metà.
mi offre da bere vino bianco acidulo. esco in terrazza e mi siedo sulla sedia di ferro, rigidamente altalenante nelle sue gambe imperfette.
mi dice pure che la figlia, la scinzia, sarebbe arrivata da lì a poco.

il tempo di riempire due volte il bicchiere è sufficiente per trovarmi di fronte la scinzia.
la sua voce suadente, quasi radiofonica, mi accoglie con un misterioso "sono sicura di averla già incontrata in un'altra vita".
io rimango possibilista.

poi incalza.
"cosa l'ha portata qui da noi?"
"il caso", rispondo, "un'indicazione seguita e un'altra ignorata"
lei guardandomi con occhi incisivi mormora: "giù a paese dicono che il caso non esiste".

giù a paese.

sono l'unico ospite. il menu mi viene proposto senza scelte, già deciso a priori.
ci sono i ravioli di sua madre e il coniglio fatto all'etrusca, ricetta segretissima che immagino scritta con andamento bustrofedico su pergamene nascoste in grotte di tufo.
mi porta dell'olio dentro ad una tazzina di caffè. me lo descrive come "il migliore, finora". è quello di febbraio, più rotondo rispetto a dicembre.
ragiono su come la rotondità attribuita all'olio accentui il senso di scivolamento su piano inclinato.

mi versa vino ligure, di color rosso indeciso, quasi un affronto alla cardarelliana grande luce che si va sfacendo e muore.
tuttavia si fa gustare, nasconde profumi che il cromatismo imperfetto non lasciava trapelare.
mi parla della sua vita. mi chiede della mia.
uno scambio di vite tra sconosciuti, limitando eventi importanti e ingrandendo dettagli quasi scordati.

saluti veloci, stanchezza consapevole di chi sa che l'ora di sveglia è poco distante da quella del sole.
due passi avanti e uno di lato. il pastore tedesco, vecchio e spettinato, alza gli occhi e scuote la testa.
la chiave gira due volte, odore di legno e di pulito.
schiena su morbido, lenzuola rigide che odorano di cambio frequente.

gli occhi si perdono nel buio dei pensieri e dei ricordi.
assieme agli occhi, ecco che tutto il corpo si immerge nel passato, traslando nell'altrove e nel gradito.
arriva l'immagine di due donne e un uomo seduti ad un tavolo di un ristorante molto distante.
una parla di televisione francese vista via satellite. poi accenna all'antennista della parabola morto perché caduto da un tetto troppo scivoloso quando piove.
eventi disgraziati presenti e lontani come il rumore del vento quando si dorme al caldo delle piume d'oca.
o come la pioggia quando la destinazione è altrove.
vite sprecate come l'amore mal riposto, che si perde nelle onde del tacito soffrire.

03 maggio 2009

coda

faccio caramelle. non so fare altro. ho molte teorie sulle caramelle. ad esempio, sono fermamente convinto che i coloranti artificiali non rendano nervosi i bambini. tutto sta nella quantità. e poi se un bambino è tranquillo, e i miei, ringrazio dio, lo sono, di sicuro non si agita per un po’ di colorante sulle mie cocacole gommose o sui miei marshmallows.

mio padre era un tecnico, smontava e rimontava i macchinari da solo, senza aiuto di nessuno. se non trovava qualche pezzo, andava da persone che conosceva solo lui e ritornava di notte con la valvola o il pignone necessari a rimettere in moto la produzione.

mi piacciono gli elicotteri. ne avevo uno parcheggiato sul retro. un giorno è caduto un fulmine che ha distrutto l’elica di coda. e sono rimasto a terra, perché mi ero dimenticato di rinnovare l’assicurazione. l’ho rivenduto così com’era e con i soldi ho ingrandito il capannone.

sono strabico e mi piacciono le donne. mi faccio le lampade tre volte alla settimana. mentre sono lì dentro provo ogni tanto ad aprire gli occhi sperando che i raggi sistemino questo mio difetto. ottengo solo lacrime e abbagli. le donne non mi amano, non vedono in me nulla di bello. tuttavia le pago, non tantissimo a dire il vero, e ottengo l’amore che voglio.

sono sposato, ovviamente. mia moglie era mia compagna delle medie e mia vicina di casa. sua madre si lamentava sempre dei rumori che mio padre faceva di notte mentre aggiustava i macchinari. so per certo che una notte è andata da lui a chiedergli di smetterla. è tornata a casa la mattina dopo. dicono che sorridesse. anche per questo tratto mia moglie come una sorella.

ora sono in galera. mi hanno arrestato perché davo caramelle ai bambini al parco.
stanno facendo accertamenti.