28 novembre 2009

compatto

l’uomo che teneva l’ombrello aperto anche senza pioggia indugiò per qualche secondo di fronte al banco dei formaggi. aveva due banconote di piccolo taglio nel portafoglio e qualche moneta color terra bruciata nella tasca destra, sotto il fazzoletto bianco. fu attratto dal senso di rotondità interrotta di una forma già iniziata di caprino stagionato, così scuro al di fuori e bianco compatto nella ferita triangolare interna.

si avvicinò al vetro freddo e incontrò lo sguardo di una ragazza bionda con le trecce che spuntavano dal cappellino basso e pulito.

‘desidera?’ voce sorridente.

‘vorrei un pezzo di quello. non tanto grande, è per me.’

lei tagliò con mano ferma un triangolo di dimensioni accettabili e lo avvolse con rapida cura attorno alla carta con il logo del supermercato. stampò un’etichetta chimica e adesiva e gli domandò se gli servisse altro.

no, rispose lui prendendo con la sinistra la sua cena, mentre con la destra teneva appeso l’ombrello al polso.

camminò pensando al vuoto attraverso corsie e scaffali. passò accanto ai sacchetti dei biscotti, alle schiume da barba, alle vaschette di tortelli freschi ripieni e di detersivi profumati. pagò il formaggio e uscì nel buio illuminato del parcheggio. aprì l’ombrello velocemente. era una serata secca e gelida, non pioveva da più di due settimane. scansò due automobili dai fanali strabici e attraversò la strada sulle strisce.

mentre si incamminava deciso verso casa, abbassò l’ombrello fino a toccare i capelli con le asticelle metalliche. aveva la sensazione che il pulviscolo del mondo lo volesse avvolgere. avrebbe tanto desiderato una protezione per gli occhi e per il viso. i passi erano veloci e intensi, lo sguardo a fessura, il disagio compresso nel volto.

qualcuno in bicicletta gli si mise accanto, alla stessa velocità. lui si sentì osservato e accelerò l’andatura. udì il cigolio della catena messa sotto sforzo per aumentare la velocità. si voltò di colpo e vide un sorriso curioso di una ragazza con gli occhiali dalla montatura perfettamente rotonda.

‘perché tieni l’ombrello aperto?’

non rispose.

‘non mi senti? guarda che non sta piovendo.’

‘lo so. ma mi sento meglio con l’ombrello aperto.’

‘hai paura?’

esitò un attimo e si fermò.

‘sì.’

‘di cosa hai paura? non ti stai bagnando, non rischi niente.’

‘tu non sai nulla.’

‘e cosa dovrei sapere?’

‘l’aria è malata, ci uccide.’

silenzio. solo rumore cadenzato di catena, ruote e portapacchi.

‘beh, non è l’ombrello che ti salva, allora.’

se la vide passare di lato e poi imboccare una laterale a destra, perdendola di vista. si alzò il bavero della giacca e inclinò l’ombrello leggermente in avanti. attraversò due semafori pedonali e vide il portone di casa. aprì, salì le quattro rampe di scale ed entrò nel suo appartamento, lasciando l’ombrello chiuso appoggiato alla parete sotto il citofono. il pavimento era bianco, così come i divani e i mobili della cucina. solo il tavolo era nero, lucido, senza impronte.

tolse la carta al formaggio e lo tagliò a piccole fette, che posizionò in ordine su un piatto largo e quadrato, leggermente concavo, con gli angoli smussati. prese due vasetti, uno di marmellata di fichi e un altro di senape al miele. utilizzò due cucchiaini diversi per versarne il contenuto accanto al caprino, cercando di ricavare un’apprezzabile geometria compositiva. completò con un filo di aceto balsamico. stappò una bottiglia di vino e ne scaraffò una parte, lasciandolo decantare. stese una tovaglia bianca e pulita e mise in funzione il giradischi.

finì di preparare la tavola e si sedette, mentre sonny clark già si divertiva con il cool struttin’. si posizionò un tovagliolo di carta verde sulle cosce, strappò un pezzo di pane vecchio di un giorno e iniziò a mangiare, augurandosi buonappetito da solo.

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23 novembre 2009

attorno

il fruttivendolo è colorato. il pescivendolo è bianco, forse con qualche macchia tendente al grigio e all’azzurro, qua e là. il macellaio è chiaro di sopra e rosso da metà in giù. l’edicolante è incorniciato e ha il cappello di lana che odora di petrolio. il barista è a mezzobusto e si stacca dal vetro delle bottiglie, come un pesce rosso con il grembiule nero. l’africano vende ombrelli tinta unita, ma non c’è traccia di pioggia, solo nebbia intasata a mezzo cielo. infatti, nessuno compra e tutti si sentono umidi, malconci e malinconici.

starnutiscono.

progetto scattoso

12 novembre 2009

solo

Leggo l’etichetta.

Gusto rotondo. Ne assaggio un sorso immaginandomi una biglia in bocca, di quelle che servivano a giocare su piste di sabbia quando si era bimbi. Sento solo vino.

Sapore fruttato. Cerco di ricordarmi le sensazioni di un morso di mela. Niente. Allora provo con la pesca sciroppata e con l’arancia senza anitra. Ancora niente. Sento solo vino.

Sapore asciutto. Qui siamo al paradosso. Sono perfettamente consapevole di avere liquido in bocca. D’altronde sto bevendo. Provo ad astrarre, a stare al loro gioco. Asciutto è qualcosa di non bagnato. Tuttavia, riferito ad uno stile, può caratterizzarne anche la sobrietà. Ragiono. No, un vino-sobrio è inconcepibile ossimoro. Deve voler dire altro. Alzo lo sguardo e vedo un uomo magro in piedi di fronte a me che sta bevendo un bicchiere di acqua con limone. Ecco. Lui ha un fisico asciutto. Io no, perché tendo ad alzare il gomito. Sono confuso. Sento solo vino.

Odore vinoso. Ecco, questo mi trova perfettamente d’accordo. Non ne capisco il senso, però. Hai poco spazio per fare una descrizione e ti perdi in pleonasmi. Forse sono io troppo complicato. Oppure terribilmente banale. Sento solo vino.

Sapore abboccato. Oddio, mi sento una triglia. D’altronde il vino è un’esca e chi lo beve abbocca. Il suo sapore, semmai, è abboccante. Sembra quasi un’aberrante inversione tra soggetto e complemento, cacciatore e preda. Inizio a pensare che sia un linguaggio in codice. Qualcosa del tipo “l’aquila è allunata” o “il cielo è blu sopra le nuvole”. Intravvedo complotti e minacce. Mi riempio di nuovo il bicchiere. Bevo. Sento solo vino.

Gusto morbido. E’ decisamente una trama di terroristica diplomazia internazionale. Infatti il cuscino è morbido. Il cachemire è morbido. I capelli cotonati e pieni di balsamo sono morbidi. La morbidezza prevede il tocco e l’affondamento senza troppa resistenza. Ci provo. Mentre sorseggio tento di affondare il liquido con la lingua e a valutarne l’impatto. Non ce la faccio. Sfugge via. Mi va per traverso. Tossisco, mi pulisco la bocca e ragiono. Sento solo vino.

Sapore amabile. Sì, è vero. Lo amo e lui si fa amare per il suo sapore. Qui però sono preparato, me l’hanno spiegato poco tempo fa. Infatti amabile, riferito ad un vino, significa che tende al dolce. E presuppone che tutto ciò che è dolce si debba amare. Molte persone, me compreso, amano di più la pasta alla carbonara e un panino con la soppressa piuttosto che un millefoglie con crema e cioccolato. Il mio amore per il gusto amaro è forse figlio di un dio amoroso minore? Aggrotto le sopracciglia, un pochino offeso. Ci bevo su, rendendomi vagamente conto che sento solo vino.

Proseguo con la lettura.

Si accompagna con l’abbacchio al forno, l’agnello al tegame con i carciofi e la carne di maialino da latte.

Do un'occhiata alle altre bottiglie chiuse che sono in bella mostra sul bancone e sbircio la loro etichetta. Si accompagna con l’antipasto magro e i pesci di lago. Con i broccoli. Con la cacciagione. Con la pasta all’uovo e i sughi estivi. Con i dolci all’uvetta. Con il foie gras. Con il salmone affumicato. Con i sottaceti e il tonno in scatola e le cipolle di Tropea.

Mi viene fame di tutto questo. Decido di ordinare qualcosa di solido per accompagnare la mia bevuta. Ma cosa ordino? Maialino da latte? La confusione giunge al culmine. Ruoto la bottiglia per finirla. Osservo il mio bicchiere positivamente mezzo pieno ma non accompagnato. Single. E’ splendido. Solo vino.