tastiera
ahlan wasahlan, benvenuto.
kiif haalak, come stai? mabsuut, non c'è male, si risponde nella consueta lentezza lamentosa.
falafel scuri macchiano d'olio un sacchetto di carta marrone, mentre il pane sottile si piega, come un giornale, tra nubi gonfie di farina.
si paga in monete sudate e in banconote sgualcite nei chioschi di amman.
mancano soldi, poche piastre, maalesh, non importa.
occhi iniettati di sangue del deserto, faccia carbonizzata dal sole, voce di trinciato, una tastiera di pianoforte al posto del sorriso.
shukran, poi il discorso si perde, inframmezzato da lunghi jaani, incerti 'cioè' nel discorso di cortesia.
maasalam, arrivederci.
fumi neri di gasolio escono da mercedes color panna. clacson. stridio di freni e rotolamento sordo di pneumatici caldi sull'asfalto polveroso.
si sorseggia tè nero da un bicchiere di vetro, rovente, mentre in superficie una foglia di menta galleggia sbattendo sui bordi opachi.
odore di ceci bolliti, di agnello con cavolfiore, di plastica bruciata.
il cardamomo è dolce, come l'eccitazione in aroma di giava che provoca insonnia.
voce registrata di muhazzin, nell'alba gelida punteggiata di brezza sabbiosa.
sabah il kheer, buongiorno.
si arriva in cima al palazzo salendo scale strette, senza corrimano.
si esce sul tetto appiattito e ci si sdraia su un vecchio materasso, tra parabole puntate basse verso ovest e panni lasciati seccare.
da sotto, per strada, voci di ragazzini che giocano al pallone. i più piccoli vengono apostrofati dai più grandi con frequenti "hmar", asino.
ci si addormenta, mentre la pelle si lascia ustionare, le ultime gocce di saliva sono dolci di datteri, burro e semolino.
carsismo superficiale di ricordi annegati in luce bianca e costante.
kiif haalak, come stai? mabsuut, non c'è male, si risponde nella consueta lentezza lamentosa.
falafel scuri macchiano d'olio un sacchetto di carta marrone, mentre il pane sottile si piega, come un giornale, tra nubi gonfie di farina.
si paga in monete sudate e in banconote sgualcite nei chioschi di amman.
mancano soldi, poche piastre, maalesh, non importa.
occhi iniettati di sangue del deserto, faccia carbonizzata dal sole, voce di trinciato, una tastiera di pianoforte al posto del sorriso.
shukran, poi il discorso si perde, inframmezzato da lunghi jaani, incerti 'cioè' nel discorso di cortesia.
maasalam, arrivederci.
fumi neri di gasolio escono da mercedes color panna. clacson. stridio di freni e rotolamento sordo di pneumatici caldi sull'asfalto polveroso.
si sorseggia tè nero da un bicchiere di vetro, rovente, mentre in superficie una foglia di menta galleggia sbattendo sui bordi opachi.
odore di ceci bolliti, di agnello con cavolfiore, di plastica bruciata.
il cardamomo è dolce, come l'eccitazione in aroma di giava che provoca insonnia.
voce registrata di muhazzin, nell'alba gelida punteggiata di brezza sabbiosa.
sabah il kheer, buongiorno.
si arriva in cima al palazzo salendo scale strette, senza corrimano.
si esce sul tetto appiattito e ci si sdraia su un vecchio materasso, tra parabole puntate basse verso ovest e panni lasciati seccare.
da sotto, per strada, voci di ragazzini che giocano al pallone. i più piccoli vengono apostrofati dai più grandi con frequenti "hmar", asino.
ci si addormenta, mentre la pelle si lascia ustionare, le ultime gocce di saliva sono dolci di datteri, burro e semolino.
carsismo superficiale di ricordi annegati in luce bianca e costante.

4 Comments:
ricordi sovraesposti
grazie del breve viaggio
ps: ho visto il gemello friulano, il collo (?) è uguale, diversa l'espressone...il mio dev'essere il gemello buono:)
bellissimo. la tua scrittura sa di lontano anche quando parli del vicino. se poi vai lontano davvero...
lophelia: confermo, è decisamente il gemello buono!
laurette: grazie!
Mi piace molto questo coinvolgimento dei cinque sensi nel tuo modo di scrivere.
Posta un commento
<< Home