08 novembre 2006

sostanze

nebbia sull'erba, sole malato di un pomeriggio d'autunno in mezzo alle fabbriche.
qui c'era il mare, o mar ghe gera.
ora il mare è strada d'accesso, pozzanghera oleosa senza odore di spiaggia.

si trova parcheggio in un senso vietato, si domanda permesso d'entrare e si ottiene un diniego elegante e deciso.

al di fuori il muro è scuro di ombra, appare stanco di sorreggere ripari a lavori pesanti.
suoni metallurgici, musica secca, botti e silenzi di carichi agganciati a motrici. pistoni di camion schiacciano vapori combusti ed emettono nubi nere da bocche di marmitte elevate al cielo.

si attraversano binari che non vedono mai vagoni in movimento.
sono tanti, si intersecano in un gioco di scambi comandati da qualche centrale nascosta e segreta.

la stanza dei bottoni controlla dall'alto piccoli trenini marroni, lunghi chilometri ma sempre fermi aspettando godot.
la radio emette tango singhiozzato da un bandoneón epilettico, mentre si attraversa un altro passaggio a livello che collega strade dai nomi sinistri.
via dell'atomo, via dell'azoto, via della pila, via dell'elettricità, via dei sali... un compendio di chimica demente, entropia e guazzabuglio di sostanze che si accoppiano invasate.


un vecchio signore dal volto grigiastro sale dalla banchina con la canna da pesca.
lo fa per passare il tempo, mi
dice. invece di andare all'osteria dal mattino a bere a stomaco nudo, come fanno molti rovinandosi il fisico.
lui all'osteria semmai ci va alla sera, dopo una sana giornata di pesca lungo il canale dei petroli.
il pesce non lo mangia, cimancherebbealtro.
una volta sì che si poteva, afferma poi poco convinto.
mentre carica l'auto tossisce e sputacchia, estrae una sigaretta da un pacchetto morbido e l'accende, volgendo un ultimo sguardo alla riva impastata.

mi ricordo di quand'ero bambino e usavo l'argent de poche per acquistare ghiaccioli colorati d'azzurro.

5 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Quel che scrivi si vede e si sente, si annusa.
Raro, sei.
Conosco bene le osterie di Venezia, spesso ci vado.

etilicamente vostra
Cecilia

mercoledì 8 novembre 2006 alle ore 20:28:00 CET  
Blogger tittielameraviglia said...

Lavoro per chi ha tentato di piegare il mare e abusando di lui l'ha ferito con pezzi di ferro cemento senza anima e planimetrie di un progresso che sbeffeggia agli operai..ma ogni tanto guardo negli occhi di questi uomini dei ferri e dei cementi e provo pena per loro..null'altro c'è dietro le loro facce.I magnati del "m mar ..ghera".Il mare non è sconfitto:è in un angolo a guardare questi poveretti buffi come gabbiani goffi sulle piattaforme.

giovedì 9 novembre 2006 alle ore 14:34:00 CET  
Anonymous Anonimo said...

pescare.
sto seduta sulla riva nel tramonto arancione della mia sabbia, della mia terra, del mio cielo.
Controluce la punta della mia canna da pesca.
Aria fresca non fredda.
Lieve brezza.
Ombre lunghe.

E la canna non si muove, ma poco importa.
E' l'attesa, il guardarla, l'attesa, questo tendere a qualcosa che non sai se sarà, frazione di secondo dopo frazione di secondo.

e il tramonto.

venerdì 10 novembre 2006 alle ore 16:16:00 CET  
Blogger Paolo said...

... già, sarebbe poetico in un laghetto norvegese.
onestamente non mi verrebbero in mente versi sublimi di fronte ad un pazzo che pesca in mezzo ai fumi solforosi di uno dei più grandi scandali d'italia.

domenica 12 novembre 2006 alle ore 10:08:00 CET  
Anonymous Anonimo said...

e invece io credo di sì... :)
buonagiornata, paolo

lunedì 13 novembre 2006 alle ore 14:19:00 CET  

Posta un commento

<< Home