12 marzo 2009

cloro

una voce, piatta ma gentile, gli dice di accomodarsi un attimo.
una risposta silenziosa, col sorriso tirato di chi non sarebbe mai comodo solo per un attimo, sussurra 'certamente'.
era stata una convocazione rapida, inaspettata, perfetta.
ora sta aspettando, guardando le stampe alle pareti e le copertine delle riviste allineate sul tavolino.
il divano è morbido e odora di succo alla pesca. si sente ridicolo col culo sprofondato e le ginocchia un po' all'insù.
prova a sistemarsi, peggiorando la situazione. sente l'orlo dei pantaloni risalire verso il ginocchio, minacciando l'esibizione dell'elastico del calzino, invero alquanto consumato e tendente allo scivolamento verso il basso.

odia i colloqui. ne ha fatti pochi in vita sua, senza mai aver avuto grosse soddisfazioni.
aveva ottenuto un solo lavoro, non grazie alla peculiarità della sua retorica o alla magnificenza della sua esperienza professionale.
era stato il classico caso di amici-di-amici-di-parenti. di quel 'credo di ricordare suo padre' che dà sicurezza ma che, al contempo, puzza di mancanza di gloria. sensazione, questa di fondamentale assenza di meriti, che, in genere, raggiunge il suo apice con le classiche tre parole finali: 'me lo saluti'. 'certamente'.
appunto.
questa volta invece era tutto merito suo. aveva avuto il contatto tramite un'amica incontrata per caso: 'provaci, non ti costa niente'.
lettera classica, poche righe precise e senza enfasi. la risposta il giorno dopo, con la proposta di incontro.

davanti a lui passa un uomo basso e senza capelli. sta scrivendo un messaggio rapido sul telefonino, non si accorge nemmeno della sua presenza.
entra in una stanza buia e si chiude la porta alle spalle.
poco dopo, la segretaria dalla voce piatta gli porta un bicchiere d'acqua e un caffè non richiesto.
'il dottore sta finendo una riunione. nel frattempo, le ho portato un caffè'
'grazie. certamente'
certamente un corno. lui odia il caffè a stomaco vuoto. gli mette il nervoso e le coliche addominali, che aumentano all'aumentare del nervosismo.
lascia raffreddare il caffè e si bagna le labbra con l'acqua che sa di cloro.
improvvisamente si rende conto di non aver portato un taccuino per prendere appunti. da qualche parte aveva letto che durante i colloqui è sempre necessario avere i mezzi per segnarsi le cose. anche solo per fare disegnini, purché diano l'aria di interesse e di comprensione.
fruga nelle tasche della giacca e trova l'agenda. è salvo. gli manca la penna, ma è il male minore.
si alza in piedi e prende una rivista. parla di politica internazionale, di cina, di india, di venezuela. di strategia, di interviste, di visioni. di summit, di spirali, di terrorismo. di tutte le cose visibili ed invisibili.

una voce.
'mi scusi per il ritardo, mi segua, andiamo in una stanza tranquilla'
muto. annuisce.
'ha fatto difficoltà a trovare?'
'nnno, no, conoscevo la zona'. voce monotòna. pensa velocemente al cinguettio degli uccelli, per cercare di alzare il volume.
'prende un caffè?'
'no, grazie, già preso.' ecco, ora la voce è migliore, più sicura.
'bene, allora lo prendo io, torno subito, intanto si metta comodo e si sieda dove vuole'
dubbio. tavolo quadrato, enorme. cinque sedie per lato. opta per un posto centrale, poi cambia e si mette sull'angolo. si siede e pensa che se il suo interlocutore si dovesse sedere sulla prima sedia d'angolo dell'altro lato, sarebbero stati troppo vicini. trasla di un posto e aspetta.
ci sono penne sul tavolo, con il logo che aveva visto sull'insegna al piano terra. ne prende una e la prova su una pagina bianca dell'agenda.
torna l'uomo con il caffè fumante in mano. si chiude la porta alle spalle e si siede poco distante.
iniziano a parlare. domanda, risposta. commento, condivisione. battuta, risata. altre domande. poi la fatidica 'mi dica perché la dovrei assumere'.
silenzio.
già.
perché lo dovrebbe assumere?
non ci sono effettivamente motivi contingenti per farlo.
i requisiti per il ruolo sono soddisfatti in maniera appena sufficiente.
l'eccellenza è altrove, insomma.
lo guarda. si sta aspettando una risposta.
temporeggia. apre l'agenda, osserva gli appunti che ha preso negli ultimi venti minuti.
di-a-da-in-con-su-per-tra-fra.
tanto per scrivere qualcosa.
'perché questo posto mi fa sentire a mio agio'.
le parole gli erano venute di getto.
l'altro sorride.
'secondo lei io dovrei essere contento di un collaboratore che si sente a suo agio?'
'beh, sì, mi pare il minimo'
si alza. gira attorno al tavolo e si siede accanto a lui.
gli prende la penna dalla mano e scrive una cifra sotto le preposizioni semplici.
'questo è quanto le darei per farla sentire a suo agio'
il numero rappresentava tre quarti del suo stipendio attuale.
poi continua, riportando il doppio della cifra, subito sotto.
'questo, invece, è quanto le darei tra sei mesi se sarò io in grado di fornirle almeno tre altri motivi per i quali ho fatto bene ad assumerla'
si sente addosso un sorriso enorme.
strette di mano. sudata la sua, forte e secca quella dell'uomo.
è stordito. le ultime battute dell'incontro gli attraversano il cervello senza fare sosta per usi futuri.
formalità, tempistiche, accordi.
scende le scale a due a due. preme il pulsante apriporta che fa schioccare il metallo e gli dona il colore del mondo di fuori.

i teoremi basati sul sarebbe potuto o sull'avrebbe dovuto si fondano spesso su assiomi fatti di sogni distorti e di bende sugli occhi.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

che dire? che mi piace leggerti, meno commentare. la foto? un petit chef d'oeuvre. :-)

domenica 15 marzo 2009 alle ore 14:19:00 CET  

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