27 gennaio 2009

suonare

un uomo di media statura e con la barba si guarda attorno nella sua stanza d'albergo.
borsa di lavoro, computer semiaperto sulla scrivania stretta, cravatta stesa sul letto.
si infila il cappotto e si chiude la porta alle spalle.
l'ascensore è piccolo e poco affidabile. sceglie le scale, che affronta al buio, maledicendo l'assenza di interruttori a portata logica di mano.
ritira la patente dalla portineria e osserva la faccia del proprietario, espressiva come un cetriolo sott'olio.
cuneo è la città.
cuneo hotel è il nome della sua dimora per questa notte.
anafora banale di pernottamento anonimo.

chiede consigli per un buon ristorante in città.
gli viene fornito un nome e un'indicazione approssimativa sulla dislocazione.
'al massimo chieda quando si trova in zona'.

fuori l'aria è gelida ma pulita.
mentre cammina, si guarda attorno.
guardarsi attorno è il suo forte.
guardarsi dentro è il suo dramma che cerca di evitare.

attraversa una piazza larga ed elegante. persone camminano come lui, in direzione contraria o tangente.
entra in un negozio di liquori e cioccolato. la donna dietro il bancone sta lacrimando congiuntivite.
lo osserva con gli occhi rossi. anche lui si sente lacrimare, forse per solidarietà, più probabilmente per reazione inconscia.
chiede del ristorante. la donna gli risponde sofferente. è nel vicolo qui a destra, saranno cinquanta metri.
facile.

entra nel vicolo. un ragazzo e una ragazza si stanno baciando appoggiati alla parete di una chiesa.
sono immobili, assorti, inconsapevoli, incuranti.
beati. liquidi.

il ristorante è d'angolo. ci sono adesivi colorati attaccati alle finestre.
rotary, gamberi, michelin, routard. forchette e coltelli disegnati. stelline.
la porta è chiusa. c'è scritto di suonare.
suona.
apre una ragazza con sguardo asinino.
'buonasera'
'buonasera'
l'espressione è stranamente interrogativa.
'è presto? sono solo'
'no, non è presto'
non si muove dalla porta e non lo fa entrare.
lui guarda di sfuggita all'interno. tavoli vuoti, circondati da librerie colme di vino.
'ha prenotato?'
non sta scherzando. rimane seria.
'no, onestamente no. è necessario?'
'beh, sì. mi può lasciare il suo nome?'
l'uomo le lascia il suo nome. quello di battesimo, generico, corto, facile. confondibile.
lei annuisce.
'può tornare tra dieci minuti, allora?'
'perché? ora è presto?' ripete, sentendosi vagamente idiota.
'no, signore. non è presto'.
rinuncia.
'torno tra dieci minuti', sorride.
'come desidera. va bene'. lei non sorride.
lui non risponde e se ne va.

beve un bicchiere di vino rosso in un bar che sta chiudendo.
ne chiede un altro, che gli viene servito in un bicchiere pulito.
lui l'avrebbe voluto nel suo. adora i rabbocchi. sanno di confidenze.

torna al ristorante. la porta ora è aperta, non c'è più traccia del cartello 'suonare'.
la cameriera di prima lo saluta. indossa un maglione lungo color senape e dei pantaloni stretti.
è semplicemente bella.
'ehm, avevo prenotato'
'sì, mi ricordo di lei. mi segua'.

lo conduce in sala. non c'è anima viva. solo la voce di chet baker alternata alla tromba.
sul suo tavolo c'è un fiore giallo, di fianco al cartellino col suo nome.
ordina nebbiolo, battuta di fassone tagliata al coltello e un piatto di tajarin al sugo di cinghiale.
la bella ragazza dal maglione senape lo serve sorridendo.
gli domanda se desidera altro.
'no, grazie. ottimo così'

si alza, paga. la ragazza prende i soldi e lo saluta.
'grazie, torni presto a trovarci'.

prima di uscire si guarda alle spalle.
il suo tavolo è già stato apparecchiato nuovamente.
gli altri sono rimasti preparati e inutilizzati.

esce. sente meno freddo.
sarà il vino, pensa scivolando col piede su una pozzanghera ghiacciata.
si rialza e riprende a camminare.

l'assurdo è spesso figlio della mancata esperienza.