11 settembre 2007

grafia

cara mamma,
so che non ti aspetti una lettera da me. sono ormai troppi anni che non mi faccio sentire. è dal funerale di lele, se non sbaglio. quel giorno mi sono tenuto in disparte, non volevo vedere mio fratello che andava sottoterra. scusa se non sono venuto a salutarvi, ma non avrei saputo cosa dire. o meglio, sapevo che qualsiasi mia parola sarebbe stata sbagliata. me ne sono andato presto, prima che qualche parente mi vedesse. non volevo dare spiegazioni, non volevo sentire domande. ho probabilmente sbagliato a venire, ma ormai è acqua passata.
vivo da solo, da qualche mese. nina se n’è andata. si è portata via anche nostro figlio. eh, sì, sei diventata nonna, oltre che suocera. lei è una ragazza svedese. l’avevo conosciuta a uppsala. ci siamo sposati in olanda, durante il viaggio di ritorno. non avevamo mai una dimora stabile. vivevamo per lo più in alberghi, nella periferia di grandi città, perché in genere sono meno controllati. lo so che nina non ha mai provato un senso di sicurezza al mio fianco. a volte mi chiedo perché abbia voluto sposarmi. conosceva il lavoro che facevo, sapeva che la nostra famiglia non avrebbe mai potuto essere normale, sapeva che non avrebbe mai potuto ricevere cartoline, lettere o cataloghi per posta, perché non avevamo indirizzo. voleva un figlio, a tutti i costi. io ho provato a farla ragionare, a farle capire che non gli avremmo potuto garantire un’esistenza serena. anche io lo voglio, un figlio, ma non ora, le ripetevo all’orecchio mentre lei piangeva silenziosa, con nordica dignità. le dicevo che entro pochi anni avrei smesso di fare quel lavoro, che avremmo vissuto di rendita, che avremmo potuto sistemarci sul serio. in verità, non mi sentivo abbastanza maturo per diventare padre. non sapevo essere responsabile di me stesso, pensavo, figuriamoci di un figlio. alla fine, però, è successo lo stesso. abbiamo avuto un bambino bellissimo. lei ha voluto dargli un nome svedese, perché di italiano, nei lineamenti, aveva ben poco. almeno così diceva lei. credo invece che dall’inizio avesse intenzione di ritornare in svezia con lui. è biondissimo, come la madre, forse anche di più. si chiama stig. assomiglia un po’ a lele, soprattutto quando tiene lo sguardo imbronciato. purtroppo negli ultimi tempi ho avuto molte difficoltà, sia con la legge sia che con quelli che pensavo essere dalla mia parte. sono stato tradito. mi hanno venduto. nina prima di andarsene mi ha detto che non lo faceva per sé stessa, ma per stig. io non le ho creduto. l’amore ha bisogno di reciproca stabilità per durare negli anni.
ho paura adesso, mamma. sono convinto che non ho diritto di fartelo sapere. io ho rinunciato a voi, spietatamente. non mi sono mai curato di conoscere la vostra opinione, il vostro stato d’animo. vi ho semplicemente rimossi, ottuso dalla mia presunzione e, forse, dalla mia insicurezza. ho conosciuto molti visi, ho stretto tante mani, di ogni dimensione, colore e forza. ho calpestato il suolo di quasi tutti gli stati dei cinque continenti. a volte, sai, guardo le mie scarpe, mentre aspetto un aereo seduto nella sala d’aspetto o mentre dormo vestito in un vagone letto. penso alla diversità dei terreni che hanno calpestato, alle condizioni del tempo alle quali si sono dovute adattare, alle corse e alle passeggiate tranquille in cui mi hanno accompagnato. ogni volta che pensieri di questo tipo mi assalgono, vengo preso da un senso di smarrimento. mi chiedo, quasi sussurrando, che cosa stia facendo, per quale vera ragione la mia vita sia così e non diversa. mi perdo a rincorrere a ritroso le scelte fatte, giocando una partita a scacchi al contrario, andando a tentoni tra gli anfratti della mia memoria per cercare di ricordare e capire.
prima avevo un porto dove approdare e si chiamava Nina. sarebbe troppo semplice dire che lei era tutto per me. forse è anche sbagliato. lei era semplicemente l’unica persona con cui vivevo quando non lavoravo. quindi in lei si riversavano tutte le mie attenzioni, e, nello stesso tempo, lei costituiva la mia unica speranza, il mio solo appiglio. le avevo affidato l’onere, forse troppo gravoso, di incarnare tutta la mia famiglia. doveva essere dolce e comprensiva come te, mamma. insieme, doveva rappresentare la disincantata lucidità di papà e la complicità incondizionata di lele. era evidentemente troppo per lei, magra vichinga dagli occhi di neve. quando ci si innamora, si cercano nella persona amata tutte le qualità che si vorrebbero. se non ci sono, si costruiscono, si finge di trovarle lo stesso. alla fine mi sono accorto che la nina che vedevo io la vedevo solo io, era una mia creatura, costruita secondo le mie regole. quando ho capito che non era leale, lei era già partita.
sono tornato in paese qualche settimana fa. guidavo lungo l’autostrada quando ho visto la nostra uscita, quella che prendevamo sempre quando si tornava dalle vacanze al mare. ho messo la freccia senza accorgermene. ho parcheggiato davanti all’edicola di via firenze. non c’è più il vecchio arturo. ci sono due ragazzette al suo posto. penso siano le nipoti. ho camminato per un po’ lungo la via principale. non ero del tutto sicuro di essere irriconoscibile. ho visto carlo, del bar centrale, che mi ha guardato in modo strano quando gli ho ordinato il caffè, come se mi riconoscesse. sono cambiato, mamma. mi hanno fatto cambiare i connotati, l’identità, l’accento. mi hanno costretto a diventare mancino. dovevano farmi diventare un’altra persona e ci sono riusciti. i miei ricordi, però, sono ancora lì, anche se faticano ad affacciarsi. ho imparato a ricacciarli dentro. me l’hanno insegnata loro, questa tecnica. non potrai mai cancellare il tuo passato nella tua memoria, mi hanno detto una notte durante il lungo periodo di addestramento, ma puoi imparare a domarlo, a renderlo inoffensivo. inizialmente ci sono riuscito. si stupivano anche loro di come io fossi diventato freddo e insensibile....

appoggia la penna senza finire la frase. osserva il foglio e la grafia piccola e nervosa.
sta affidando a quel pezzo di carta l'intera giustificazione della sua esistenza.
non sa a che indirizzo inviare la lettera.
non sa se verrà mai aperta.
sa solo che aveva un grande peso e ora, scrivendo, si sente meglio.

prende l'accendino e dà fuoco al foglio e alle sue parole.
getta la palla fumante e nera dentro il caminetto.
un odore dolciastro si sprigiona all'interno della stanza.
prende un bicchiere, versa del vino da una bottiglia senza etichetta.

mentre sente il bruciore della sorsata invadergli l'esofago e la bocca dello stomaco, pensa che deve trovare un'altra storia.
al più presto.
domani è già tardi e potrebbero scoprirlo.

6 Comments:

Anonymous Anonimo said...

è la medesima dimostrazione di quanto l'uomo sia solo..perchè lo è..nonostante tutta la gente che lo circonda,nonostante le sue varie passioni,nonostante sia colmo di cose che lo riempiono dentro..di musica ,di parole,che lo fanno rivivere in mille luoghi differenti contemporaneamente e in mille essenze a se stanti..nonostante vi siano cose che riescono ad esprimerlo in modo così complesso e così profondo e che riescono a trasmettergli..nonostante possa cercare di condividere e di rendere partecipi della propria vita altre persone.nonostante tutto ciò.. è solo. lo è.perchè troppo intimo ,troppo complesso,troppo profondo ,troppo sconnesso da se stesso e nello stesso tempo legato indissolubilmente. la sua essenza rimarrà sempre e solo esclusivamente sua..lui in fondo ci sarà sempre per se stesso,con il suo corpo,il suo sorriso ,le sue emozioni..le sue mani..più o meno saldo..ma non so se sarà abbastanza. per se stesso.

mercoledì 12 settembre 2007 alle ore 16:18:00 CEST  
Anonymous Anonimo said...

da diverso tempo scrivo lettere che poi non spedisco, ma finora sentivo sempre qualcosa in sospeso, le conservavo...
adesso comincerò a scrivere lettere e bruciarle...

mercoledì 12 settembre 2007 alle ore 17:12:00 CEST  
Anonymous Anonimo said...

Troppe attese, troppo peso, troppo amore nella stessa persona. Succede. Non succederà più.

giovedì 13 settembre 2007 alle ore 15:05:00 CEST  
Blogger Laura said...

Passo per un saluto...
un abbraccio!

giovedì 20 settembre 2007 alle ore 09:33:00 CEST  
Blogger GMGhioni said...

Qualcosa mi ha spinta a guardare oltre. L'inizio era tanto vulnerabile e tanto plausibile da farmi pensare ad una lettera autobiografica. E - non chiedo risposte, ci mancherebbe - non è detto che lo fosse: solo che a ogni scrittore viene poi il timore di essere troppo sincero, e allora subentra il romanzo, subentrano i particolari più lontani dalla realtà per rendere meno rintracciabile la sua vita, sotto le macerie di tante altre.

Questa, almeno, la mia personalissima visione.

Buona serata
A.

martedì 25 settembre 2007 alle ore 21:42:00 CEST  
Blogger Paolo said...

julie: complicato, ma d'accordo.

barbie: sì, bruciale. è un rito catartico non da poco.

gp: succederà ancora.

laura: un saluto a te. verrò presto a trovarti

anathea: come dico spesso, "se non è vero, è molto ben trovato"... comunque non ho moglie svedese, e se l'avessi, sicuramente non me la lascerei scappare... :)

mercoledì 26 settembre 2007 alle ore 09:41:00 CEST  

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