26 maggio 2007

compiti

un piccolo segreto, misto mare, prese a volare per il cielo più blu.
dentro al segreto, in mezzo ai ricci e alle vongole, c'era un piccolo motore asciutto, che si riprometteva di fare i compiti verso pomeriggio inoltrato.
ma i compiti non si fanno al pomeriggio inoltrato, dato che già l'odore di cena, tra spizzichi d'aglio e trote salmonate al limone, si espande per casa, lentamente come il venticello della calunnia.

un merlo dal becco arancione svolazzava anche lui per il cielo più blu.
inevitabile fu l'incontro con il piccolo segreto, e con il di lui motore asciutto.
attratto dal suo olfatto, che aveva individuato tracce di misto mare lassù dove usualmente osano le aquile, il merlo prese a fare domande al piccolo segreto, il quale rispondeva per mezzo del motore asciutto.

'ciao piccolo segreto'

'ciao merlo dal becco arancione', rispose il piccolo segreto, con fare ventriloquo.

'che strana voce che hai, o piccolo segreto'

'certo, o merlo dal becco arancione, il piccolo segreto non parla. chi proferisce verbo sono io, al suo interno, sono un piccolo motore asciutto'

il merlo dal becco arancione rimase esterrefatto, e, temporeggiante, si mise a svolazzare attorno ad un asse immaginario. non trovava modo di replicare al suo curioso interlocutore.

'non devi sentirti in imbarazzo, merlo mio', lo incoraggiò il piccolo motore asciutto, invisibile dentro al piccolo segreto, 'io sono in viaggio, e mi fa piacere scambiare qualche parola con te, nel frattempo'

il merlo dal becco arancione tornò ad essere incuriosito.
'dove stai andando, di bello, col tuo carico di odori pesciosi, che poco hanno a che fare con il cielo più blu?'

'vedi, amico mio, ho voluto portare un po' di ricci e di vongole a spasso, a guardare il loro mare turchese dall'alto, con prospettiva diversa'.

'ma dove stai andando, con gli amici ricci e le amiche vongole? qual è la tua destinazione finale?'

il piccolo segreto fece una piroetta attenta e una capriola felice. poi tornò di fianco al merlo dal becco arancione.
'sto andando in capo al mondo, ebbene sì, mi sono deciso'

'in capo al mondo? ma riuscirai a fare i compiti per pomeriggio inoltrato? non credo sia così facile arrivare lì in fondo, e poi tornare in tempo per i compiti e per la cena'

'comprendo i tuoi dubbi, o mio compagno volante. intanto però mi sono messo in viaggio, e voglio credere di poter arrivare in tempo per colmare questo mio desiderio e per portare a termine i compiti entro il tramonto.'

'te lo auguro, e vorrei proseguire con te. me lo concedi?'

'certo, certo, mi piace condividere le mie destinazioni. se sei armato della stessa volontà, voleremo insieme per il cielo più blu, fino a quando troveremo il cartello capo-al-mondo. poi ci gireremo, magari con qualche piroetta, e torneremo indietro.'

il merlo dal becco arancione prese a volare convinto fianco a fianco con il piccolo segreto. dall'alto vedeva il mondo marrone ed il mare turchese, alla vista del quale i ricci e le vongole si agitavano felici attorno al piccolo motore asciutto.

tutto procedeva secondo programma, quando, improvvisamente, il merlo individuò una zona fragolosa, rossa e succulenta, laggiù, sulla terra, in mezzo ad una via cittadina in odore di mercato all'aperto.

senza indugiare oltre, vi si buttò a capofitto, dimenticando il passato, la recente scoperta, il patto stretto con il piccolo segreto e la reale volontà di vedere, una volta nella vita, la fine del mondo.
rubò una fragola e si mise a beccarla di lato, assaporandone l'odore fresco ed il gusto soave.

il merlo dal becco arancione era appoggiato ad un ramo basso di quercia, e si stava riposando, dopo la scorpacciata di fragola. il sole era già tramontato di lato ed il cielo diveniva sempre meno blu, lasciando il posto al nero di buio.
improvvisamente, si ricordò del piccolo segreto e del suo motore asciutto.
preso dallo sconforto, si mise a guardare a destra e a sinistra, in alto e in basso, avanti e indietro. niente. non c'era traccia del suo amico, che avrebbe dovuto essere già di ritorno dopo aver doppiato il capo del mondo.

così, il merlo dal becco arancione si rese conto di aver perso per sempre un piccolo segreto che voleva arrivare lontano.

peccato, avrebbe potuto essergli utile.

21 maggio 2007

protagonisti

un uomo, padre, stringe tra pollice ed indice la mano esile di una bambina, figlia.

scena: esterno giorno, primavera inoltrata, centro città, tavolo rotondo con tre sedie, di cui due occupate dai personaggi suddetti, protagonisti unici.
o, almeno, di questo sono convinti.

la bambina sta piangendo. frignando. disperando.
le lacrime scendono lisce sulle guance e si raccolgono in due grossi punti scuri e umidi sui pantaloni bluoltremare.


il padre la guarda, continuando ad agganciarle la mano come si trattasse di un pendolo della fortuna. rimane senza parlare, lascia che le lacrime di lei si consumino e si arrestino da sole, per sfinimento arido.

la figlia alza lo sguardo, tira su col naso e domanda: perché.


senza grossi patemi, con voce ferma, sicura.


il padre continua ad osservarla, senza mutare l'espressione assente.

perché no, non si può.


la bimba scuote il capo, gravemente.
stringe gli occhi, prova a singhiozzare, senza successo.

vuoi un gelato?

no. voglio che tutto torni come prima.

non è possibile.


e io come faccio?


in maniera impercettibile, le rughe, che fino a poco prima si delineavano in bassorilievo sul viso inespressivo, per un attimo si diradano, lasciando il posto ad un immagine più giovane, meno grave.

tu non ti devi preoccupare.


davvero?


ora l'uomo sor
ride, annuendo: sì, davvero.

una bicicletta passa veloce di fronte a loro, sull'altro lato della strada.

una giovane donna inquadra attenta un viso con barba, di profilo.

un giovane uomo inquadra la bicicletta, la giovane donna e il viso con barba.
il padre e la figlia osservano il giovane uomo che fotografa qualcosa.

14 maggio 2007

memoria vuota

appena prima dell'alba, scosta leggermente la tenda pesante della stanza d'albergo.
fuori la luce è fredda, come sanno essere freddi i raggi luminosi che rimbalzano a piccole onde sulla superficie del globo, mostrandone la parte che ancora dorme il sonno asciutto dei sogni.
di fronte, un palazzo d'uffici si illumina di pulizie, di pavimenti bagnati e asciugati, di strofinacci imbevuti di chimica e di aspirapolveri roboanti.

chiude la tenda, e la stanza si fa buia.
odora ancora di sonno lasciato a metà.
la sottile lama luminosa, che entra in verticale attraverso la chiusura imperfetta dei drappi alle finestre, consente di sagomare lentamente le lenzuola del letto, la valigia aperta a metà, la giacca scura gettata sopra il tavolo.
si schiarisce la voce.
chiama un nome. una volta, un sussurro, due volte, con tono più deciso, tre volte, con suono fermo.
rimane in ascolto.
sente uno sciacquone del bagno e l'attività di una doccia.
qualcuno, in una stanza sopra la sua, si sta preparando. chi si sveglia a quest'ora lo fa per prendere un aereo. o per tornare a casa, dopo una notte clandestina.

si siede sulla poltrona fredda di cuoio.
chiude gli occhi e riprende a sognare.
filo spinato tra due pali in collina.
scale ripide di una stazione della metro in città.
uno scaffale del supermercato, pieno di vasetti.
poi sono le voci.
voci conosciute, sua nonna, il professore, la ragazza dell'edicola.
lo salutano e lo redarguiscono.
gli dicono stammi bene, fanno discorsi senza capo né termine. frammenti.
lui annuisce, convinto che tutto ha una logica.
poi corre, corre al centro di una strada, in mezzo a fabbriche e negozi chiusi con le serrande.
fotogrammi di qualche film.
pensa che deve correre, sa che deve correre.
pensa anche che sta sognando di correre. che sognare di correre ha un significato preciso. di fuga.

si sveglia, consapevole.
lui ha sempre odiato fuggire.
gli è sempre piaciuto andare, per poi ritornare.

ritornare è bello. si viene salutati, ti chiedono come stai, come è andata.
vogliono immagini e tu porti loro le immagini.
racconti di luci. di incontri. di forme.
parli del colore del cielo, che, quando si è lontani, è sempre di un azzurro che più azzurro non c'è.
della pioggia, che quando si è lontani bagna di più. ma proprio tanto di più. sei fradicio in cinque minuti, visto che non è come da noi, che viene dall'alto. no, quando si è lontani la pioggia arriva orizzontale. a volte anche dal basso, dallo sciaf sciaf delle scarpe che sbattono pozzanghere enormi.
quando si è lontani, poi, le facce sono sempre più belle. delineate. fotogeniche.
e le voci. che dire poi delle voci. possenti, soavi, lievi, flautate. sempre degne di nota, radiofoniche.

racconti e racconti. e vorresti essere di nuovo lì, anche solo per una birra, anche solo per scattare l'ultima foto dal molo con la luce giusta, quella di taglio delle sette di sera.

lui ora si trova lì.
in poche ore sarebbe ripartito. e ritornato.
si sente stanco.

prende la macchina fotografica dalla tasca della giacca.
l'accende, illuminandosi di menu digitale.
bip bip bip.
i cristalli liquidi si colorano, scorrono ricordi recenti, senza protagonisti conosciuti.
poi vengono fotografie più vecchie, altri luoghi, altra compagnia.
cancella foto sfocate, d'istinto. si sbarazza di gei-peg scattati oltre il tempo di sicurezza.
d'improvviso, si rende conto che sta cancellando foto senza nemmeno guardarle.
continua, accarezzando deciso i tasti freddi di metallo sottile.
vede il messaggio di memoria vuota. foto esaurite.
il passato è cancellato.
in una stanza d'albergo, all'alba.
in una città della quale racconterà i colori e l'unicità dei sentimenti.
in un viaggio anonimo che diventerà avventura alle orecchie di chi è rimasto.

la memoria ora è accogliente.
pronta per nuove immagini.
per andare di nuovo.
e, consapevolmente, pronta per ritornare.