31 dicembre 2006

scompartimento


controlla la linea. è libera.
il telefono funziona, quindi.

mancano quattro minuti alle tre.

'ti chiamo dopo, verso le tre, ora veramente non posso parlare'.
così le aveva risposto due ore prima, senza un pronto, senza un ciao.

aveva visto il suo numero, sapeva chi era.

verso le tre.
lui è un tipo puntuale, in genere. o, almeno, si vanta di esserlo.
però aveva detto verso le tre.
che per un tipo puntuale significa tre più-o-meno cinque minuti.
già il meno cinque minuti era trascorso.

controlla anche il cellulare, nel caso lui la chiami lì. il segnale c'è, balla un po', ma c'è.

tre e tre minuti. quindici zerotre. guarda i led della radiosveglia e fa associazioni numeriche.
zerotre per cinque fa quindici. è una buona ora perché avvenga qualcosa, tipo ricevere una telefonata.
in alternativa ci sono sempre le quindici zerocinque. zerocinque per tre. forse anche meglio, a pensarci bene.

alle quattro e tredici si mette il cappotto e decide di uscire.
lui non l'ha chiamata. si ripromette di non cercarlo più.

non ha voglia di pranzare.

la cena del giorno prima è ancora lì che rimbalza per le pareti dello stomaco.

è stato invitato, lei è il suo capo.
non si rifiutano inviti a pranzo da un capo donna.

soprattutto perché vuole capire dove sta andando la sua carriera.

inoltre, osservandola da vicino, vuole finalmente avere la certezza del fatto che lei, in realtà, è più giovane di lui.

tant'è. sono seduti, bottiglia di acqua, cestino con il pane.
arriva il cameriere. ordinano. piatti complessi, lo stomaco si ribellerà.

il vino vuole sceglierlo lei. millanta esperienza.

ordina un rosso corposo, troppo corposo.
è anche il più costoso, paga lei.
vuole dimostrare la sua potenza, non c'entra nulla l'associazione con il cibo.

il cameriere non fa una piega. male, dovrebbe avere il coraggio di sconsigliare un abbinamento tanto azzardato.
l'assaggio procede da copione, con lei che recita tutta la parte. rotazione, controllo del residuo viscoso all'interno, immersione del naso. rumorosa inspirazione, sorseggio.
poi il consueto cenno 'va bene, procedi pure'.
i bicchieri si riempiono, lei propone il brindisi.

'penso faremo grandi cose insieme', gli dice tra i vetri arrotondati.
suona il cellulare. risponde automaticamente, 'ti chiamo dopo, verso le tre, ora veramente non posso parlare'.
lei lo guarda spegnere il telefono.
'donne?', gli domanda.
'no, no... è mio figlio'
idiota. lui non ha un figlio.

lei lo osserva con curiosità. 'non sapevo avesse un figlio'
nemmeno io, sta per risponderle.

'invece sì. ha otto anni'

'e la madre, che fa?'
quale madre.

'siamo divorziati. è stato un errore'
sta recitando una parte che non gli piace. lei gli chiede maggiori informazioni.
lui le risponde a tono, improvvisando.
fa in parte il misterioso, in parte il simpatico, in parte il commovente.
una favola.

è seduta in treno, sono quasi le sette di sera.
suona il cellulare.
è lui.
'scusa il ritardo'
'cosa è successo?'
le voci sono tranquille.

'ero impegnato, pranzo di lavoro'
'sì, ma adesso sono le sette di sera'
lui indugia. 'poi sono tornato in ufficio e mi è passato di mente'
'tanto impegnato in questo periodo?'
le spiega del pranzo con il capo.

'tu un figlio?' ride.
ride anche lui. 'sto sbagliando tutto'
'lo so'
'sai a volte cosa penso?'

'non so mai a cosa pensi'
'penso di sapere esattamente cosa dovrei fare. ho in testa il discorso giusto che mi farebbe cambiare direzione. strada giusta, scelte giuste'
'e perché non metti in pratica quanto dici di conoscere già?'
'perché mi piacerebbe sentirmelo fare da qualcun altro, questo discorso'
silenzio.
'beh, se tu mi dici cosa vuoi sentirti dire, magari ci provo io'

la ragazza seduta di fronte a me nello scompartimento di seconda classe dell'intercity verona-padova rimette il cellulare nella borsa e mi guarda con le lacrime agli occhi.
evidentemente lui non le ha lasciato provare.
io distolgo lo sguardo e penso a tom waits:
'and if you think that you can tell a bigger tale, i swear to god i'd have to tell a lie'

27 dicembre 2006

dominante

dicembre è foriero di immagini meravigliose.
si augurano cose belle. tante belle e care cose.
ci si ripromette di prendere una pausa e di ricominciare con maggiore slancio.

l'animo seccagno diventa fertile di buoni sentimenti.

si spostano pesanti cappotti, si è impiccati da sciarpe annodate in modo bizzoso, quasi cravattesco.

si saluta, si bacia, si sorride. ci si allontana e si critica, malvagi come serpenti scaldati al sole di baja california.
si organizzano cene lunghissime, alla stregua di roma imperiale.
il padrone di casa assume il ruolo di triclinarca, coordina l'arrivo e la scomparsa delle portate e sceglie i vini, svuotando la cantina e stappando etichette rarissime e costosissime al grido di 'questo non puoi non assaggiarlo'.

si gioca pure, regredendo a stadio infantile. intanto i bambini, nell'altra stanza, guardano la cnn e commentano intorno alle sanzioni onu all'iran e al ruolo di cindia nei prossimi decenni.

parlando a tavola, si raccontano luoghi e situazioni lontane. non si contestualizza. si vorrebbe essere altrove.
si canticchia una vecchia canzone, stonando inevitabilmente le note in diesis e bemolle.

mentre ci si abbraccia, si pensa al bicarbonato e al modo di eliminare libbre di glutine, zuccheri e lipidi.

da gennaio mi metto a dieta, si borbotta ruttando torrone all'arancio con retrogusto al ragù di cotechino.


e non è tutto.



ci sono uomini in pantaloni mimetici, maglietta verde e stivalacci di cuoio duro.
sono persone in grado di essere investite da sostanze che alterano il naturale susseguirsi del pensiero logico. poi la loro mente rimane deviata per sempre, variabile indipendente da assunzioni successive.
capita che queste persone si trovino a servire da bere.
capita che al primo bicchiere si abbia voglia di un secondo e che l'unico in grado di soddisfare questa richiesta sia il suddetto deviato.
è inevitabile ricevere un diniego. niente rabbocco, segue bestemmia e altre amenità pronunziate con la tipica "elle liquida" ferrarese.
il pensiero è ora rivolto altrove.

'dove? '
'come dove? ad atlantide, ovviamente. a quel regno incredibile, scomparso misteriosamente più di tre millenni fa.'
'uhm, atlantide? '
'già (cambia argomento abbattendo un paio di lettere), pensa anche all'ippogrifo del mago atlante. ora lo vorrei cavalcare io, quell'ippogrifo'.
non parla più, biascica sillabe. mischia eruzioni vulcaniche nel mare egeo a cavalli alati.
indossa uno zaino verde, inforca una bici nera parcheggiata di fuori, e se ne va, volando per i vicoli ariostei illuminati a dominante rossa.


ti chiedono di estrarre le sostanze liquide o gelatinose dalla valigia e dal tascapane.
ti chiedono di infilarle in un sacchetto per il freezer, richiudibile.
ti chiedono di non eccedere una certa quantità.

la modella in coda è disperata. tenta di accapparrarsi una decina di sacchetti e di riversarci dentro l'intero contenuto del mascara, fondotinta, lucidalabbra e altre alchimie di varia foggia, colore e consistenza.
la fermano in tempo.
le spiegano che è sufficiente infilare il contenitore con i liquidi ancora all'interno.

lei annuisce, con l'aria di una che va spesso a sbattere contro ogni palo lungo il marciapiede.
passa attraverso la porta radioattiva.
suona.
torna indietro.
risuona.
le fanno togliere gli stivali altissimi, la cintura larghissima e borchiatissima e gli occhiali da sole scolpiti sopra i capelli imbalsamati l'oréal paris.

al terzo tentativo andato a vuoto, gli agenti di sicurezza rinunciano. il manichino viene accarezzato dall'aspiratore per auto che spacciano per metaldetector. suona anche lui.
la lasciano passare.
lei non si è accorta di nulla, nel frattempo.


il nasino, però, è perfetto.

19 dicembre 2006

cometa

il sovrapporsi della pioggia sullo sfondo del muro di fronte è rumore di pellicola sensibile, grana grossa come sale.
rue mouffetard è invasa da colori schizofrenici di vetrine e festoni, di mercati e mercanti, di carni rosse e polli ruotanti, di verdure e frutti acerbi, di moules nere e salmoni artici.
le bancarelle di place monges sembrano tende beduine aperte da un lato. sedie sopra tappeti kilim, commercianti sedute a bere tè d'oriente si lamentano dell'umido che inganna ginocchia e faringi.

il ragazzo greco inserisce feta tra le lenzuola opache di galette bretoni. con gesti veloci rompe un uovo a metà, la cometa di tuorlo con la sua scia di albume precipita nel grembo fumante di gusto e di odore.

il caffè è lungo e la brasserie esplode di voci potenti. si paga con monete e si va via, come il giovane jean-pierre leaud in tempi facili di nouvelle vague.


rodin fa baciare paolo e francesca, tra le pareti di sale eleganti ma fredde di caminetti spenti da anni. una giovane donna schizza linee di inchiostro sulle pagine di un taccuino, delineando forme neoclassiche gonfie di muscoli, plastiche di angoli e rugose di vesti abbondanti.

il viso del conducente del metrò in rue de varenne è disegnato senza espressione all'interno della cabina di guida.
guarda avanti e non accenna a sorridere, rassegnato ad alternare prospettive frontali di tunnel comatosi a luci fluorescenti nei punti di fuga.
un clochard discute animatamente con un collega, alzando la voce al passaggio del treno. agitando una bottiglia di vino semivuota, mostra all'altro una pagina di un grosso libro con la copertina grossa e marrone, in un simposio improvvisato di cultura underground.

la notte accende le luci nel marais.
place des vosges è ortogonale, rue vieille du temple è simmetrica, rue sainte-croix de la bretonnerie è densa di gambe che si muovono in direzione ostinata e contraria.
c'è coda per il cous cous del marocchino arganier, si attende al bancone per il rendez-vous des amis, centellinando economico côtes-du-rhône, ci si accomoda sotto il fungo calorifero de les philosophes, dove la cameriera dal profilo binoche trasporta birre belghe e vini rosè.


i campi di marte guerriero ospitano gente di campagna.
la bretagna e l'alta savoia, la borgogna e i pirenei, la normandia e l'alsazia. la vera francia si è concentrata qui, sotto la torre di ferro più famosa del mondo, portando prodotti di terra e di vento. il miele di lavanda provenzale combatte la propria lotta di profumi con le mele di bretagna, tagliate a piccole fette ed esposte al palato del pubblico vociante.


la pioggia bagna les invalides, nuvole gonfie di umori atlantici accarezzano il ponte dell'alma, lame di luce riflettono sul marciapiede lucido di boulevard de belleville, potenti colpi di brezza percorrono varianti e chicane tra le tombe famose del padre lachaise.

ad ogni angolo parigi si disegna e si racconta, come un romanzo illustrato le cui pagine hanno i bordi incollati da zucchero resinoso di crêpes ambulanti.

13 dicembre 2006

ittico

l'idillico connubio tra significante e significato marcia per le strade della cittadina di pesca, inondate di sole invernale. l'accento insolito e gli sguardi sconnessi si alternano mentre gli occhi osservano la linea d'orizzonte che divide cielo e mare, laggiù dove il mondo si piega.

un demente cammina seguendo traiettoie spiraliformi, sfiorando pericolosamente il ciglio del molo. blatera qualcosa, parole scazonti che si pitturano di colori accesi.
"l'avevo detto io che questa cosa non funzionava, l'avevo ripetuto. non mi hanno ascoltato, non mi hanno mai ascoltato. ora è tutto andato a puttane. e noi siamo soli."

si rivolge ad un omone di colore africano, seduto sulla panchina di pietra, e lo guarda socchiudendo gli occhi liquidi sfiorati di rosso.

"tu lo sai che non mi ascoltano. siamo in pericolo. siamo in pericolo. siamo in pericolo. io ho freddo, tu hai freddo? strano, perché io ho freddo."
la brezza adriatica prende coraggio e rimbalza sugli ultimi metri di mare, andando a spostare i capelli color sole di una ragazza in posa da dea.
l'amica, di fronte, la prende di mira attraverso una piccola fotocamera, e la inquadra a futura memoria.
le due si sbirciano con fare amoroso, rimandando i commenti sulla liaison dangereuse a situazioni più intime e coperte di buio.

il bavero si alza, mi salutano entrambe dandomi del lei.
il vento invecchia, ragiono inoltrandomi nei vicoli dal gusto ittico e muffoso.
i campanelli delle case riportano lo stesso cognome ripetuto in serie geometrica, impronte di generazioni sigillate tra mura cittadine e diffidenti a quanto è di fuori.


il rientro è lento, teoria di fanali in coda, mentre l'emottoico pianto del tramonto cianomagenta si riversa sulle acque dense della bassa laguna.

04 dicembre 2006

papille

compagno mitrokhin, Василий Митрохин.
custode di segreti inviolabili.
ti nascondi tra le nostre terre, credendo di non farti notare.
invece eccoti qui, tra noi comuni mortali, sporchi occidentali. bevi vino marcio di terra con l'occhio vigile di chi ha saputo troppo e troppo ha voluto conservare.
ti abbiamo riconosciuto subito, la tua aria pasticciona non scompare con i visti dei passaporti falsi e le credenziali diplomatiche di chi diplomatico non è mai stato.
eri sepolto in russia e sei risorto qui, moderno lazzarone mitomane traboccante di segreti.

il tuo accento è pesantemente veneto. sei bravo tu, a mimetizzarti tra noi. bestemmi, pure. attribuisci identità variabile all'essere divino con fantasia d'archivista russo.
complimenti, davvero.


ti chiedo una foto e me la concedi. ti sei tradito solo una volta, quando mi hai domandato se la foto andrà sul giornale.
ti ho detto che sono un dilettante, che fotografo solo le persone che mi piacciono e che sanno riempire un'immagine.
tu hai gongolato, come facevi con le peripatetiche di nižni novgorod mostrando canini d'oro e dollari americani. ti sei messo in posa, ma non mi sei piaciuto. eri brutto, supponente.
ti ho lasciato finire il discorso con i tuoi finti amici. ricorda che qui da noi non hai amici nelle osterie, solo compagni di bevuta. che ti dimenticano la mattina successiva e ti ritrovano al pomeriggio, raccontandoti di nuovo le medesime storie in piedi di fronte al bancone.

trangugiavi vino come vodka, lasciavi che l'acidulo ti esplodesse nello stomaco senza passare per le papille del gusto.
ti voglio chiedere una cosa. cosa sei venuto a fare qui da noi? non sai che c'è gente che muore per causa tua?
c'è gente che costruirebbe una storia più grande della genesi pur di metterti in mezzo a qualche nome e cognome.
tu, che hai scritto e trascritto sotto una luce fioca, magari da trenta candele come quella del compagno francesco da bologna, hai deciso di rifarti una vita.
io ti ho scoperto, ma starò zitto. non lo dirò a nessuno. ti lascerò vivere tra le persone semplici delle nostre campagne, in serena nescienza.

e sai che ti dico, compagno vasilij? è un segreto, ti prego di non trascriverlo da nessuna parte, almeno questa volta.
ecco, in verità ti dico: adoro i tuoi baffi. sono geometrici, ghiacciaio di pelo brizzolato sul labbro superiore. sono tanti, folti come foreste degli urali e possenti come palazzi di samarcanda, estesi come la tundra siberiana e lunghi come la prospettiva nevskij.
aah, sono esterrefatto.

dimentica, ora. solleviamo i calici.
prosit.

tomi

notturno veneziano, quando la città è lasciata a sè stessa.
di giorno c'è il movimento che la regge, se ne prende cura.
di notte, è solo il buon senso di pochi che sono in giro a permettere che rimanga immacolata e bellissima.

i negozi di cose inutili sono chiusi, mentre scorrono di fianco a passi che risuonano, rimbalzano, rimbombano e strisciano su pietra consunta.

il gradiente di freddo, col buio d'inverno, aumenta salendo i ponti e si fa più mite tornando a livello dell'acqua.

una giovane donna, prosperosa nel nero di una maglia calda ed elastica, versa vino con occhi spalancati e sorpresi.

di fuori l'acqua è ferma e il vicino ghetto vecchio nasconde segreti mossad.
un poliziotto in borghese fuma sigarette da poco guardando la vetrina di un negozio di candelabri e vecchi tomi di torah. attende il nemico invisibile nella sua fortezza bastiani fatta di antica e invidiosa reclusione.
intanto, si annoia.

oltre la madonna dell'orto, tra i palazzi possenti e ordinati, un uomo accompagna il suo cane lungo la via che porta alla fermata del traghetto. osserva due panchine rosse e sfondate che si danno le spalle. arriva di fronte alla laguna e guarda il cimitero di san michele galleggiare sotto la luna.

la luce dentro i treni è bianca.
un ubriaco passa, apre la porta che lo conduce all'altro vagone, si guarda indietro per accertarsi di non aver perduto alcunché.
poi continua, in verso opposto alla marcia del treno, in moto relativo più lento.


si ricorda di quando da giovane aveva paura della bella musica.